Autore: #EdoardoLonghi
Stazione di Roma Termini, 3 agosto 1974, il termometro segnala un caldo afoso allietato solo dalla leggera brezza della sere romane. Un treno sta per partire dal binario centrale: è l’espresso Roma Tiburtina- Brennero, che durante la notte, ed entro la sera del giorno successivo, avrebbe dovuto raggiunger Monaco di Baviera. Il treno fermava sia in Versilia sia sulla riviera Adriatica, passando per Firenze e Bologna, e la banchina era piena di giovani ragazzi e famiglie pronte a iniziare le tante agognate vacanze estive. Anche una coppia era in fila tra quella folla ad aspettare il treno, ma non era una coppia come un’altra: si trattava del ministro degli Esteri Aldo Moro e sua moglie Eleonora. Il treno fischiò, due figure si avvicinarono all’onorevole Moro, gli parlarono e lo fecero allontanare dalla stazione per firmare alcuni documenti. Il treno parte lo stesso ma non arriverà mai a destinazione. Poche ore dopo infatti ci sarà la bomba del treno Italicus e quello di Moro rimarrà un altro dei grandi misteri o coincidenze della strage .
LA STRAGE
All’una e venti di notte del 4 agosto scoppiò una bomba ad alto potenziale nella quinta vettura del treno espresso 1486 ("Italicus"). L'ordigno era composto da una miscela esplosiva e da una miscela incendiaria, quasi certamente la termite. La bomba era stata collocata in una valigetta occultata sotto un sedile della quinta carrozza, rivolto contro il senso di marcia. L'esplosivo era collegato a una sveglia di una marca tedesca, Peter, molto comune all'epoca, ritrovata nel corso delle prime perlustrazioni dove era avvenuta la strage. L’esplosione avvenne dentro la galleria del tratto Firenze-Bologna ma per puro caso il treno non deraglio all’interno del tunnel. Infatti, la locomotiva viaggiava con tre minuti di anticipo (cosa alquanto rara per Trenitalia già all’epoca), e l’ordigno esplose in un punto della galleria a soli 50 metri dall’uscita. L'esplosione fece sollevare il tetto della quinta carrozza, che poi cadde frantumandosi in migliaia di schegge, mentre le lamiere si deformavano per la temperatura altissima dell'incendio che divampava ma il macchinista riuscì comunque a fermare il convoglio all’aperto, vicino alla stazione di San Benedetto Val di Sembro.
Nell’attentato morirono 12 persone e ci furono 105 feriti, ma si stima che se la bomba fosse esplosa pochi minuti prima (come programmato dai terroristi) la strage avrebbe avuto conseguenze molto più drammatiche con centinaia di morti e innumerevoli feriti. Va segnalato anche, per la gioia dell’autore di questo articolo che è un suo conterraneo, l’eroico gesto di un ferroviere romagnolo, Silver Siragni, che si lanciò nel vagone ancora in fiamme con un estintore per cercare di salvare i tanti passeggeri intrappolati nel treno, e durante la sua impresa perse purtroppo la vita. Venne poi insignito della medaglia d’oro al valor civile postuma.
LA RIVENDICAZIONE E IL MISTERO DEGLI AUTORI
Il giorno successivo alla strage, venne rinvenuto in una cabina telefonica a Bologna un volantino di rivendicazione dell'attentato a firma Ordine Nero e contemporaneamente furono effettuate delle telefonate anonime al Resto del Carlino. Il contenuto era molto semplice e lapidario: l’attentato è stato fatto per vendicare un ex-camerata deceduto, Giancarlo Esposti, membro delle Squadre d’Azione Mussolini e coinvolto nella strage di Piazza della Loggia, freddato dalla polizia durante un blitz pochi mesi prima. In realtà questa prima pista si rivelò un buco nell’acqua, infatti la sera stessa del 5 agosto venne individuato e interrogato l’autore del volantino: un certo Italo Bono, personaggio interno all'estrema destra a Bologna, ma poco considerato nell'ambiente e con tendenze megalomane evidenti. Sia lui che i suoi compagni collegati presentarono un alibi di ferro per la sera e il giorno della strage la pista fu subito abbandonata. Colpo di scena in Parlamento: pochi giorni dopo, durante un acceso dibattito il segretario del MSI, Giorgio Almirante, annunciò di aver segnalato al capo dell’Ispettorato antiterrorismo, 19 giorni prima della strage, la preparazione di un attentato contro il treno Palatino, in partenza dalla capitale. L’attentato sarebbe stato ad opera di gruppi extraparlamentari di sinistra e il loro deposito di esplosivi l’avrebbero trovato in uno scantinato dell’Istituto di Fisica della Sapienza di Roma. A dare queste informazioni era un bidello, Francesco Sgrò, e a trasmetterle ad Almirante un dirigente delle MSI, l’avvocato Aldo Basile. Il 12 agosto, interrogato dalla procura, Sgrò affermò di essersi inventato ogni cosa dietro pagamento di un compenso e l’avvocato Basile sarà tratto in arresto con l’accusa di aver pagato Sgrò per creare una falsa pista rossa. Vennero entrambi prosciolti da ogni accusa e giudicati innocenti. Inserire una dose calcolata di falso in un messaggio (in questo caso il nome del treno da Italicus a Palatino) per il resto veritiero, è una delle tecniche della disinformazione e in questo caso sembrò usata per montare un depistaggio preventivo nel quale Almirante rimase coinvolto. Questo e altro finiranno per alimentare la mitologia di un regista occulto che ispira e devia, coinvolge e scagiona, provoca e nasconde al fine di perseguire il progetto politico di destabilizzare per alcuni (o stabilizzare secondo altri) il Paese.
L’indagine andò avanti e successivamente, grazie a un esponente della sinistra extraparlamentare, Aurelio Fianchini, venne diffuso uno scritto nel quale si imputava la colpa dell’attentato al neofascista Mario Tuti. Egli, uno degli esponenti più pericolosi del terrorismo nero, avrebbe agito assieme a Luciano Franci, Margherita Luddi ed Emanuele Bartoli. A piazzare l’esplosivo sul convoglio sarebbe stato Piero Malentacchi, presso la stazione di Santa Maria Novella di Firenze. Mario Tuti, ventottenne padre di famiglia e impiegato comunale, era in realtà un collezionista d’armi e uno dei fondatori del Fronte nazionale rivoluzionario di Arezzo, autore di altri tre attentati ferroviari.
Il 24 gennaio del ’75, la polizia bussaò a casa sua con un mandato di cattura ma Tuti aprì il fuoco. Due poliziotti rimasero uccisi e Tuti diventò latitante. Verrà catturato mesi dopo, in fuga vicino a Nizza, e si aprirà così il processo per la strage dell’Italicus. Il processo però si rivelerà inconcludente e un nulla di fatto:
1. Sentenza della Corte d’assise: Tuti viene assolto insieme agli altri per insufficienza di prove;
2. Sentenza d’appello: Tuti viene condannato all’ergastolo assieme a un altro camerata;
3. Cassazione: la cassazione annulla la sentenza e si torna in Corte d’Appello, la quale assolve entrambi per non aver commesso il fatto;
4. Ricorso in Cassazione: nel 1992, assoluzione definitiva.
Durante l’ultimo processo, quello in Cassazione, fanno impressione le parole di Tuti, il quale si dichiarò in guerra contro lo stato e di conseguenza indifferente alla condanna: “la pena che mi verrà data al massimo potrà durare quanto il regime che mi condanna.”.
Un ultimo tassello per completare il mistero dell’Italicus venne poi posto anni dopo, quando venne scoperta l’esistenza della loggia massonica P2 di Licio Gelli. Infatti, Tuti risultò amico e protetto del capo della P2 Gelli e durante la sentenza della Commissione Parlamentare sulla P2, venne messa a nudo il rapporto tra quest’ultima, l’estrema destra toscana e la strage:
“la strage dell'Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana” e ancora “ la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell'Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale.”
Ma neanche dopo la Commissione Parlamentare e la fine della P2, fu possibile arrivare a una sentenza definitiva stante l'impossibilità di determinare concretamente le personalità dei mandanti e dei materiali esecutori.
Anche la strage dell’Italicus, dunque, dopo tanti anni non ha ancora colpevoli. Dodici morti, 105 feriti, ma nessun colpevole, nessun mandante, nessun esecutore. Tantissimi, in compenso, i misteri. Così è stato per le stragi che l’hanno preceduta, e così sarà per quelle che seguiranno.
Riuscirà mai, a 40 dalla fine degli oscuri anni di piombo, il nostro paese a fare i conti con il suo passato? Riusciremo mai a dare giustizia alle centinaia di innocenti che per un decennio sono stati vittime del terrorismo politico?
Per Saperne di più sui nostri articoli
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