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Anche nella finanza, a pagare sono sempre gli ultimi: l'esempio del 2008



Comprare un pezzo del sogno americano: una casa, un'auto, una proprietà. Negli anni che precedettero il 2008, la finanza americana fece leva sul sentimentalismo Usa e voltò le spalle alla società. La crisi globale costò alle persone quelle stesse case, auto e risparmi che aveva finanziato. Dopo la Grande Depressione gli Stati Uniti avevano visto trent’anni di grande crescita economica, in cui le banche erano piccole, così come i rischi d’investimento e le speculazioni. Fu l’amministrazione Reagan a far scattare le prime deregolamentizzazioni finanziarie: le banche iniziarono a cercare investimenti più rischiosi sui soldi dei risparmiatori. Per la prima volta il meccanismo finanziario si circondava di aria viziata e alimentava un ciclo fraudolento. Gli uomini d’affari non presero sul serio la minaccia che gli investimenti ad alto rischio potevano avere sulla stabilità dell’intero sistema.


La frode del progresso


A destabilizzare ulteriormente l’equilibrio economico fu l’avvento dei derivati, i cosiddetti CDO, che rivoluzionarono il sistema dei mutui permettendo la concessione di prestiti più rischiosi. Il numero di questi prestiti, detti subprime, quadruplicò ma il fenomeno non destò particolari sospetti, perché le agenzie di rating continuarono a valutare anche i mutui rischiosi come sicuri, creando la più grande bolla speculativa della storia. L’esplosione di questa bolla costò ai contribuenti oltre 150 miliardi di dollari. Gli interessi delle banche non erano più coincidenti con quelli dei clienti. E mentre questo accadeva la finanza si nascondeva dietro la maschera del progresso: creare la più grande prosperità nella storia dell’uomo. Chi cercava di ostacolare la crescita era considerato anti-progressista. Intanto, già nei primi mesi del 2007, le persone iniziavano a perdere vertiginosamente i loro risparmi, mentre i grandi della finanza continuavano ad arricchirsi.


Una crisi epidemica


Il crollo della frode sul mercato dei mutui portò un’ondata di licenziamenti e pignoramenti. Solo negli Stati Uniti, oltre 9 milioni di persone persero la casa, 30 milioni i disoccupati. La crisi non era più solo a stelle e strisce ma invase in modo epidemico l’intera economia. Il mondo globalizzato precipitava tutto allo stesso ritmo. In Cina 10 milioni di persone persero il lavoro e la disoccupazione raggiunse il 10% anche in Europa. Era stato lo sviluppo economico a incentivare il rischio? Le banche avevano stabilito bonus sugli investimenti meno sicuri ma più redditizi sul breve periodo e nessuna penalità sulle perdite. In questo modo tutto il sistema finanziario era stato spinto ad investire su affari che, al primo crac, avevano fatto crollare l’intera economia. Il 4 ottobre del 2008 il presidente Bush dichiarava che sarebbero serviti 700 miliardi di dollari per salvare le banche, «fornire tutto il denaro necessario» aveva scandito. Il sogno americano continuava a infrangersi tra i cocci dei contribuenti, ma non quelli dei maggiori dirigenti finanziari. Alle cinque figure principali di Lehman Brothers, crollata nel settembre 2008 e simbolo della crisi, non venne prelevato neanche un dollaro dei guadagni effettuati sui mutui predatori. Così come non furono recuperati i compensi di nessun dirigente, neanche durante l’amministrazione Obama.


La crisi del 2008 fu l’esempio storico per eccellenza di come finanza e società fossero in realtà ossimoricamente tanto distanti quanto intrecciate. Il fatto che il settore economico-finanziario fosse proceduto su un binario diverso da quello degli interessi dei cittadini e risparmiatori permise alla bolla di espandersi in modo esponenziale per anni. Solo nel momento in cui i grandi finanzieri toccarono con mano la falla del sistema, ovvero coloro che non riuscivano a sostenere i costi del mutuo, il castello di carte crollò e con lui le vite e i risparmi di migliaia di americani.


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