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Burocrazia portami via



"Una drastica semplificazione della burocrazia sarà la madre di tutte le riforme con cui getteremo le basi per dare all'Italia lo shock economico di cui ha estremamente bisogno.” È questo quanto dichiarato qualche giorno fa dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. “Il virus può essere l’occasione per azzerare la burocrazia che ammazza l’Italia”, dichiara il suo ex alleato di governo, il leader della Lega. Sulla stessa rotta si collocano anche tutti gli altri partiti dell’arco parlamentare, nessuno escluso.

La riforma della pubblica amministrazione, l’azzeramento -o comunque un forte ridimensionamento-della burocrazia sembrano ormai delle espressioni per tutte le stagioni che mettono tutti d’accordo, delle formule vuote, per usare un’espressione cara al giurista e filosofo Norberto Bobbio, anche se

usata in riferimento alle categorie politiche della destra e della sinistra. Dipende evidentemente da cosa ci si mette dentro.


Pubblica amministrazione: un cantiere perenne.

L’emergenza economica scatenata dalla pandemia ha reso ancora più evidente le fragilità del sistema della pubblica amministrazione italiana la cui riforma viene puntualmente invocata tanto da finire all’interno di ogni agenda di Governo ma il cui disegno di modifica è talmente ampio che difficilmente

viene portato a conclusione. È quanto avvenuto, ad esempio, con la legge 124/2015, la legge Madia, che costituiva una delega poderosa che ha prodotto una serie di decreti attuativi per il riordino disettori inerenti a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e degli enti locali, in

una prospettiva unitaria. Il percorso di riforma inaugurato con la legge Madia si è arrestato però nel 2016 con la sentenza 251 della Corte Costituzionale che ha stabilito l’illegittimità costituzionale della legge in quanto lesiva dell’autonomia delle regioni nella parte in cui andava a sostituire alla Conferenza Stato-Regioni la conferenza unificata per poter prendere le intese necessarie.

Eppure la stagione riformatrice del 2014-2016 non è che l’ultimo approdo di intensi periodi di riforma amministrativa: c’è stato il periodo Cassese (1993-1994), il periodo Bassanini (1996-1997), il periodo Brunetta (2009-2010) e da ultimo, appunto, il periodo Madia (2014-2016); quello che si nota è che non si finisce mai di riformare la pubblica amministrazione. Quasi in termini polemici, è stato

osservato che non c’è governo che non si prefigga di mettere mano alla macchina burocratica italiana, da tutti riconosciuta, in modo talvolta abbastanza strumentale, come responsabile del mancato “nuovo

miracolo italiano”, autrice di lacci e lacciuoli che impediscono all’economia di volare e rendono il nostro Paese “poco attrattivo” agli occhi degli investitori esteri.

Rimane quindi in parte vero quanto già Balzac nel 1844 scriveva ne Les employés: “Poiché gli affari correnti devono comunque essere sbrigati, c'è sempre un certo numero di impiegati che galleggiano indispensabili seppur licenziabili in ogni momento e che vogliono conservarsi il posto”.Sono parole

illuminanti riferite ad una classe sociale che stava conquistando l’Europa intera, partendo proprio dalla Francia.



Burocrazia al bivio.

Il ritardo nell’erogazione della cassa integrazione, l’approvazione del decreto Rilancio e soprattutto in seguito al Piano Europeo #NextGenerationEU da 750 miliardi che vede l’Italia tra i primi beneficiari nella concessione di finanziamenti è stato invocato per tutto il Paese il cosiddetto “modello Genova”, ossia la possibilità di derogare al Codice degli appalti per poter rilanciare l’economia.

Il crollo del Ponte Morandi e la morte di 43 persone hanno rappresentato una ferita per tutto il Paese, e al netto delle polemiche in riferimento alle concessioni e nonostante i ritardi della giustizia, la deroga al codice degli appalti ha permesso la ricostruzione del Ponte in poco più di un anno, laddove è stato

autorevolmente osservato che per un’opera come quella, superiore ai 100 milioni, con l’osservanza di tutta la macchina amministrativo-burocratica avremmo impiegato tra i 10 e i 15 anni.


La disciplina del codice degli appalti e del decreto Genova.

Ma cosa prevede esattamente il codice degli appalti?

Il nuovo codice, approvato con il d.lgs. 50/2016, interviene sotto diversi profili in riferimento agli appalti, dalla vigilanza dell’Autorità Nazionale Anticorruzione all’introduzione di un sistema di rating per le imprese basato su requisiti tecnici ad avviare e gestire le procedure di gara. Al sistema del codice degli appalti si deve affiancare la disciplina della legge anticorruzione che obbliga le stazioni

appaltanti a pubblicare sui propri siti le informazioni relative al bando, all’importo dell’aggiudicazione, all’aggiudicatario e l’attestazione che le imprese poi non siano soggette ad infiltrazione mafiosa. Segue poi tutta la normativa antimafia, con la tracciabilità dei flussi finanziari che derivano dal contratto medesimo anche nel rapporto con subappaltatore e subcontraente. Se

soggettivamente il codice si applica per le amministrazioni pubbliche ed enti territoriali, a complicare la situazione è l’ambito oggettivo di applicazione: infatti si prevede una distinzione tra contratti sopra soglia e sotto soglia, e un affidamento diretto per i contratti sotto i 40mila euro senza alcun confronto

competitivo. Il tutto nell’ottica europea di favorire il più possibile la concorrenza. Il codice si sviluppa prendendo in considerazione le singole fasi, dall’avvio del procedimento, passando per la selezione dei partecipanti e per la valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del minor

prezzo e del miglior rapporto qualità/prezzo, sino all’aggiudicazione e alla verifica se si riscontrano delle offerte anormalmente basse.


Il decreto legge 109/2018, cosiddetto decreto Genova, invece prevedeva anzitutto la nomina di un commissario straordinario per la ricostruzione, individuato poi nella figura del sindaco Bucci, il quale è dotato di enormi poteri, il più importante dei quali è quello di operare in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fermo restando il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e dei vincoli derivanti dall’UE per la demolizione, la rimozione, lo smaltimento e il conferimento in discarica del materiale di risulta, nonché per la progettazione, l’affidamento e la ricostruzione dell’infrastruttura. [qui il testo] È quindi chiaro che la strada seguita, in questo caso, è stata quella di una forte deregolamentazione, con poteri straordinari affidati ad un unico commissario a tal punto che, come afferma Bruno Discepolo, assessore campano all’Urbanistica, nel caso del modello Genova “non c’è una legge che sia

stata rispettata”.



Replicabilità di un sistema.

Quali potrebbero essere le conseguenze per il futuro? Fermo restando il fatto che con il codice degli appalti il legislatore del 2016 ha sicuramente messo al centro la trasparenza e la garanzia della regolarità dei contratti, è innegabile che questo abbia appesantito ancora di più la macchina amministrativa. Tutte le forze politiche si dicono favorevoli ad una modifica e secondo molti se non si

dovesse arrivare ad una riforma completa del codice degli appalti, è plausibile che si arrivi ad un sistema che vada ad affiancare al codice medesimo una procedura più snella con regole semplificate, almeno per un periodo di pochi anni.

È innegabile che in un periodo straordinario come quello che stiamo vivendo anche il codice sarà messo in discussione, ma in quali modi e in quali termini?

È possibile replicare l’esperimento del modello Genova alle zone colpite dagli eventi sismici del 2016, con lungaggini che perdurano tutt’oggi, e da lì e a tutta Italia?


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