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Chi l'ha detto che è stata solo fortuna?


Lo storico momento in cui l'underdog per eccellenza vince la prima rocambolesca medaglia d'oro alle Olimpiadi invernali per l'Australia
Steven Bradbury taglia il traguardo in prima posizione

Chiunque di noi, ha visto almeno una volta il famoso video della triade di comici sui social commentare la rocambolesca vittoria di Steven Bradbury alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City nel 2002. Ma la realtà dei fatti, va oltre quel bizzarro pomeriggio allo Utah Olympic Volley.


Brisbane è nella zona tropicale Austrialiana, non esattamente una località che si associa il pattinaggio sul ghiaccio, ma ad inizio anni novanta può vantare uno dei maggiori talenti in prospettiva dello Short track: Steven Bradbury.


Prima di compiere dieci anni, il padre, pattinatore professionista, lo introduce al mondo dello speed skating. Si innamora dello short track durante le Olimpiadi invernali del 1988 a Calgary, in Canada, dove viene introdotto come sport dimostrativo.


Lo Short Track (letteralmente pista corta) è una specialità del pattinaggio su ghiaccio, dove gli atleti sono impegnati in una gara di velocità. Il numero dei partecipanti varia da tre a nove e anche la distanza può variare dai cinquecento ai cinquemila metri. Una caratteristica fondamentale è la mancanza di corsie, che unita a curve molto strette rende frequenti i contatti tra gli atleti.


Poco più che ventenne, alle Olimpiadi di Lillehammer del 1994 guida la nazionale Australiana alla prima storica medaglia ai Giochi Invernali. Ormai sembra lanciatissimo verso una carriera stellare, ma il destino, ha in serbo una strada dannatamente tortuosa per Bradbury.


Pochi mesi dopo quella storica Olimpiade, durante una prova dei 1500 m individuali di Coppa del mondo a Montreal, durante una sfida preliminare, lotta fianco a fianco con l’italiano Mirko Vuillermin, all’ultima curva i due però si scontrano accidentalmente, il pattino dell’azzurro nella caduta affonda nella gamba dell’ affettando letteralmente tutti e quattro i muscoli dell'australiano. Perderà quattro litri di sangue e ci vorranno 111 punti di sutura per cucire la ferita. Lotta diciotto mesi per ristabilirsi riuscendoci quasi pienamente ma non poté più essere un pattinatore di primo livello. Nonostante il trauma, decide di proseguire, non accettando di essere sportivamente finito a soli 21 anni.

Steven sa che le Olimpiadi di Salt Lake City del 2002 saranno il suo ultimo appuntamento a Cinque cerchi, e vuole arrivarci nelle condizioni migliori che può. Nel settembre del 2000, durante un allenamento Bradbury tocca la morte ancora una volta con un dito. Un suo compagno gli cade davanti, per evitarlo e non investirlo cerca di saltarlo, ma va contro le barriere con il collo completamente esposto. La prognosi non lascia scampo: frattura delle vertebre C3 e C4. L'australiano viene immediatamente operato ed installato un supporto halo con quattro perni sul cranio e nella schiena per stabilizzare la colonna vertebrale ed evitare la morte. I medici dissero esplicitamente a Steven di non presentarsi mai più su una pista da pattinaggio. Steven dopo tanta sofferenza, esige il suo canto del cigno.

Contro ogni parere medico, Bradbury sarà a Salt Lake City.


Ma la sua olimpiade inizia subito male, con l’impietosa eliminazione nel secondo turno dei 1500 metri; stessa sorte accade lo nei 500 metri. Nella sua specialità, i 1000 metri, riesce a superare il primo turno vincendo la sua batteria di qualificazione riuscendo ad accedere ai quarti, consapevole di avere fatto il massimo e con ridotte possibilità di andare avanti, dato che il suo corpo è già stravolto dagli eventi precedenti.


Era impensabile battere due mostri sacri come lo statunitense Apolo Ohno e il fortissimo canadese Marc Gagnon, e difatti così sarà. Bradbury chiude i quarti di finale al terzo posto, venendo dunque eliminato dalle Olimpiadi, il suo ultimo torneo in carriera. E proprio mentre abbattuto stava uscendo dal palazzetto del ghiaccio, pronto a fare ritorno nella desertica Australia apprende della squalifica di Gagnon, che era giunto al quinto posto. Steven scala dunque al secondo posto accedendo incredulo alle semifinali.


Puntare alla finale adesso, è semplicemente utopia. Bradbury pattina per tutta la semifinale in quinta ed ud ultima posizione, scattato dal coreano Kim Dong-Sung, che però alla penultima curva scivola regalandogli una posizione, la quarta, che però non è sufficiente ai fini della qualificazione. All’ultima curva succede l’incredibile: Mathieu Turcotte e Li Jiajun si ostacolano a vicenda finendo per cadere entrambi, Bradbury rimane in piedi perché staccato e taglia il traguardo come secondo, posizione che gli consente di accedere alla finalissima. Poco dopo la fine della gara i giudici gli danno un’altra gioia, il primo classificato Satoru Terao viene squalificato, pertanto è lui il vincitore della semifinale.


Arrivare alla finale era già un mezzo miracolo, e Steven era decisamente già felice così, sapeva che non poteva neanche lontanamente competere con fenomeni dello Short track al massimo della loro forma. L'australiano parte malissimo, viene staccato immediatamente dagli altri e guarda la gara da lontano.


E' l'ultimo giro ed i quattro lottano senza esclusione di colpi. Apolo Ohno sta dando l'anima per vincere in casa davanti al suo pubblico, mentre per gli altri tre è l'occasione della vita. Bradbury è il volto della rassegnazione, spero solo che quest'agonia finisca al più presto, per poter dare pace al suo corpo martoriato da un decennio di infortuni. All'ultima curva l'utopia diventa realtà: Jianjun nel tentativo disperato di sorpassare Ohno e aggiudicarsi l’olimpiade di specialità aggancia quest’ultimo e lo trascina a terra, gli altri due atleti che li tallonavano non riescono ad evitarli e cadono anch’essi rovinando contro le recinzioni, Bradbury che con quella mischia non aveva nulla a che fare vista la distanza siderale che aveva accumulato taglia il traguardo in prima posizione tranquillamente, sotto gli occhi atterriti e increduli di avversari e telecronisti.


Apparentemente felice per la vittoria, torna negli spogliatoio ridendo incredulo. Ormai Bradbury è diventato istantaneamente l'idolo dei media e la mascotte non solo di quella Olimpiade, ma di tutto il mondo dello sport. Ma Steven siede dietro le quinte pensando di non essere degno di quella medaglia e di non dover salire sul gradino più alto del podio. Ad un certo punto, dentro di se, trova la combinazione per risolvere l'enigma che lo affligge: "Non ero certamente il più veloce, ma non penso di aver vinto la medaglia col minuto e mezzo della gara. L'ho vinta dopo un decennio di calvario".


E voi, conoscevate la vera storia di Steven Bradbury?

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