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COVID-19 e Inquinamento: una relazione pericolosa

Qual è la relazione tra inquinamento e diffusione del virus?
Qual è la relazione tra inquinamento e diffusione del virus?

L’inquinamento atmosferico è caratterizzato dalla presenza di polveri sottili nell’aria che respiriamo quotidianamente.

Secondo il nuovo report sulla qualità dell’aria in Europa da parte dell’Agenzia europea dell’Ambiente, l’inquinamento atmosferico è la causa di circa 370 mila morti all’anno nell’Unione Europea.


Con l’avvento dell’epidemia di COVID-19 nella vita quotidiana, numerose ipotesi sono state fatte in merito a eventuali relazioni causa-effetto fra le aree maggiormente inquinate e la diffusione del virus.

La ricerca effettuata in merito e pubblicata sulla rivista “Cardiovascular Research” ha evidenziato come combinando i dati della malattia in Cina con i dati satellitari dell’esposizione globale al particolato, si evince che l’Asia orientale ha alcuni dei più alti livelli di inquinamento del pianeta e che il 27% delle morti per COVID-19 potrebbero essere attribuite alla scarsa qualità dell’aria.


In Italia, il team di ricercatori dell’Ospedale San Raffaele di Milano ha correlato i livelli di concentrazione di PM2.5, il particolato più pericoloso e fine, nel periodo precedente lo scoppio della pandemia, con le analisi dei pazienti ricoverati in terapia intensiva causa COVID-19.

Secondo quanto analizzato è evidente come le regioni più colpite dalla malattia sono quelle con maggiori concentrazioni di particolato, in primis la Lombardia con 35 microgrammi per m^2 di PM2.5 (air-matters).

Il team di ricercatori ha espresso due ipotesi per spiegare questa correlazione:

1. L’esposizione cronica al particolato PM 2.5 si associa a un iperespressione polmonare di ACE-2, rendendo più facile infettarsi.

2. La presenza di alti livelli di biossido di azoto, NO2, provocano effetti simili a quelli del SARS-CoV-2, e rendano la malattia più aggressiva. (ipotesi non confermata)


Negli Stati Uniti, un gruppo di ricercatori ha messo a confronto il National Air Toxics Assessment 2014, l’ultimo indice di inquinamento atmosferico disponibile, dell’agenzia ambientale EPA, con la mortalità pro-capite per COVID-19 in aree molto inquinate come la Louisiana o la Georgia.

Da questo confronto si evince che la mortalità è più alta in queste zone rispetto ad altre aree urbane, perciò esiste un fattore di vulnerabilità da parte delle popolazioni sottoposte a stress respiratorio continuo.


Il professore universitario Thomas Munzel afferma che l’esposizione eccessiva al particolato ha alimentato la mortalità del virus e che le morti legate al Coronavirus correlate all’inquinamento atmosferico rappresentano una mortalità in eccesso potenzialmente evitabile.

L’inquinamento atmosferico danneggia i polmoni e permette un maggiore assorbimento del virus nel nostro organismo. Questo non significa che l’inquinamento stesse uccidendo le persone insieme alla malattia, il particolato infatti è un cofattore nell’aggravare la malattia, ma non è da escludere una causa-effetto.

L’ipotesi che ne consegue è che vivere in un luogo con aria poco salubre possa incrementare l’impatto della malattia.


Pare evidente che la trasmissione aerea del virus è favorita dall’elevato livello di inquinanti, ma in ogni caso, a oggi non ci sono dati sufficienti per affermare con certezza che l’impatto dell’inquinamento atmosferico influisca sul decorso dell’infezione da SARS-CoV-2.

Tuttavia, senza un cambiamento fondamentale nel modo in cui le città si autoalimentano, inclusa una transizione verso fonti energetiche pulite e rinnovabili, l'inquinamento atmosferico continuerà a uccidere un numero enorme di persone anche dopo che la pandemia si sarà ritirata.


La pandemia si concluderà soltanto con la vaccinazione della popolazione mondiale. Tuttavia, non esistono vaccini contro la scarsa qualità dell'aria e per affrontare il cambiamento climatico.

L’unico rimedio è mitigare le emissioni e sensibilizzare le persone.

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E tu, ritieni possibile una correlazione fra COVID-19 e inquinamento atmosferico?



Articolo redatto in collaborazione con Cura Italia.

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