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Gino Strada, chirurgo di guerra

“I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi



Rahmatullah, ventidue anni, miliziano talebano, ha combattuto nel 2001 a Kabul. Aveva da un lato i colpi di mitragliatrice dei mujaheddin, dall’altro, o meglio dall’alto, le bombe e i razzi americani. Un proiettile lo colpisce al femore, frantumandoglielo. Quando mesi dopo i medici di Emergency lo trovarono in una prigione, salvandolo, non riuscivano a concepire come avesse fatto a sopravvivere tutto quel tempo senza le cure necessarie.


Ventidue anni. Suppergiù la mia età, molto probabilmente anche la tua.


È di fronte alla storia di Rahmatullah che Gino Strada pronunciò le parole che avete letto a inizio didascalia. Perché in un mondo nel quale, oltre ai vari Rahmatullah, sono ancora centinaia i bambini che ogni anno perdono un arto, la vista o la vita a causa di mine antiuomo, i diritti non possono essere definiti come uguali per tutti.


E quando sentiamo di coraggiose missioni di pace e di azioni militari a tal fine, dobbiamo imparare a farcene carico. Come dobbiamo farci carico di quelle decisioni prese troppo tempo fa per assumersene ora una chiara responsabilità, ma al contempo prese troppo di recente per poterne ignorare le conseguenze. Ed ecco che ciò che sta accadendo al confine tra Polonia e Bielorussia ci impone di rispondere tanto delle fosche scelte di politica estera prese, quanto della nostra codardia nel rinunciare a misure di ricollocamento interno degne dell’Unione Europea, preferendo sistematicamente la delega al dittatore di turno.


La storia di Rahmatulla così come l'ideea per questo post sono tratte dal libro “Buskashì”, edito Feltrinelli, ed in cui Gino Strada racconta la sua esperienza in Afghanistan immediatamente dopo l’attacco alle Torri Gemelle e il suo tentativo di raggiungere Kabul con Emergency, proprio quando tutte le Ong internazionali stavano cercando di abbandonare il paese.



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