Autore: #Roberto Furno
Nell’ ultimo articolo della nostra redazione ci siamo occupati dello status dell’inglese in Europa. Se l’inglese debba essere vista come lingua franca dell’Unione, è solamente una delle problematiche legate alla sua attuale egemonia. Oggi l’utilizzo (per restare in tema) più asintomatico dell’inglese lo si ritrova nella presenza degli anglicismi, ovvero quei prestiti linguistici che provengono in maniera più o meno diretta dall’inglese.
Con la crisi sanitaria molti tendono ad informarsi seguendo gli avvenimenti, i quali ci vengono riportati linguisticamente parlando non sempre nella maniera più chiara possibile. Sembra, e sottolineo il sembra a titolo d’ipotesi, che il ricorso a questi prestiti (mi riferisco qui a quelli non integrati) sia più frequente quando il Paese si trova a fronteggiare dei cambiamenti sensibili.
Si pensi al famoso Jobs Act o al più attuale Green New Deal. Perché ricorrere agli anglicismi se l’italiano ha tutto lo strumentario per la formazione di una terminologia con materiale linguistico interno? Se da un lato la mancanza di trasparenza nelle parole scelte porta inevitabilmente a un inferiore adempimento dell’obiettivo comunicativo, dall’altro la carica connotativa del termine inglese è più intensa, visto che “Riforma del Lavoro” o “Nuovo Accordo Verde” non darebbero quel senso di innovazione e di cambiamento che danno, almeno a livello cognitivo se non nella realtà, gli equivalenti stranieri.
L’attuale crisi sanitaria ha (ri)portato alla luce attraverso i media italiani un numero cospicuo di anglicismi. Per citarne alcuni, si pensi a questa frase fittiva ma del tutto verosimile: “il lockdown ha obbligato molti lavoratori allo smart working al fine di garantire il social distancing”. Certo, “il confinamento ha obbligato molti lavoratori al telelavoro al fine di garantire il distanziamento sociale” suona un po’ retrogrado, sebbene la realtà dei fatti sia questa.
Se è vero che la stampa è un rilievo della direzione in cui sta andando e vuole andare la società, in Italia in che direzione ci stiamo muovendo in relazione al contatto linguistico?
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