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Il dualismo cuore - cervello


Dualismo cuore-cervello
Cardiocentrismo vs cerebrocentrismo

E’ ormai data per scontata dalla comunità scientifica la centralità del cervello per l’essere umano e le altre specie animali, in quanto substrato delle funzioni mentali nonché centro regolatore delle funzioni più basilari dell’organismo come la respirazione e l’attività cardiaca. Nonostante ciò, è curioso osservare come il modo in cui ci riferiamo alla vita psichica nel linguaggio comune sia assai distante da quanto ci dice la scienza ormai da un secolo a questa parte.


Già Ippocrate (V-IV sec. a.C.), padre della tradizione “cerebrocentrica”, sosteneva che dal cervello originassero emozioni e pensiero, prefigurando la concezione oggi accettata dalla scienza. Tale tradizione è stata però presto abbandonata in favore di quella “cardiocentrica”, risalente ad Aristotele (III sec. a.C.), che vedeva invece il cuore come sede delle funzioni psichiche.


Quest’ultima concezione, sebbene ampiamente smentita, persiste ancora largamente nel linguaggio quotidiano. Si pensi ad esempio ai termini “ricordaree “scordare”, derivanti dal latino “cor” che significa cuore, oppure a modi di dire del tipo: “quella persona ha cuore”, “ha agito col cuore”, “ti ho nel cuore”, “ti parlo col cuore”. E’ qui evidente l’idea del cuore come sede della memoria, delle funzioni motorie, delle emozioni. Al cervello è riservato un minimo spazio nel lessico comune, dove è visto esclusivamente come sinonimo di razionalità e spesso con un’accezione negativa (si pensi a termini come “cerebrale” o “cervellotico”). In realtà oggi le neuroscienze hanno ampiamente dimostrato che, così come il pensiero razionale, anche le nostre emozioni e l’intera attività psichica sono frutto dell’attività cerebrale, come già intuito da Ippocrate.


Nonostante, dunque, il cerebrocentrismo non sia un’idea nuova e le scoperte neuroscientifiche l’abbiano di fatto confermata, il cervello non ha ancora una corretta rappresentazione nel nostro linguaggio e quindi probabilmente nemmeno nell’immaginario comune. Quanto ancora dovremo attendere prima di adattare il nostro linguaggio alla realtà, dando finalmente al cervello la dignità che merita?

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