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Il Fine Vita oggi: tra Biotestamento e Corte Costituzionale



Art. 32 Costituzione italiana


“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”


Così parla la nostra Costituzione : Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

Da qui dobbiamo cominciare.


Il “fine vita” è una questione che oggi spazia nel tempo e nello spazio: nel tempo perché solo così si possono vedere i mutamenti di pensiero, le innovazioni giuridiche e della medicina; nello spazio perché solo guardando oltre la nostra patria, si possono capire concezioni e diritti a noi sconosciuti.


È un tema che attraversa più discipline, dalla religione alla medicina, dal diritto alla filosofia. Qui, però, verrà analizzata la disciplina giuridica italiana al giorno d’oggi.


1) Biotestamento: nasce una Libertà.


Dobbiamo senza dubbio iniziare dalla legge 22 dicembre 2017 n. 219, nota come “Biotestamento”.


Con detta legge è stato disciplinato il trattamento del malato, cioè la sua possibilità di sospendere o rifiutare le cure, anche quelle salva-vita. Attraverso il DAT (disposizioni anticipate di trattamento), chiunque, se maggiorenne, potrà mettere per iscritto, indicazioni sulle future disposizioni di trattamento, scegliendo quali accettare e quali rifiutare. Fondamentale è quindi il consenso della persona.


“[…] nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge […]”


Secondo uno studio fatto dalla Associazione Luca Coscioni, oggi in Italia, sono state depositate più di 170.000 DAT. Un numero alto, considerando che la legge è in vigore solo da due anni; un numero basso, considerando, sempre su dati forniti dalla medesima associazione, la pochissima informazione a livello nazionale su questo tema. Tuttavia, è stata creata una Banca nazionale Dati apposita per la registrazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento, ed è possibile scaricare la DAT direttamente dal sito dell’Associazione Coscioni.


Quali sono, quindi, la ragioni del DAT?

Fondamentale è quella di predisporre un atto, in piena coscienza, che vada ad indicare una futura volontà della persona, nel malaugurato caso in cui si trovasse in una condizione di malattia giudicata irreversibile, mancante della capacità di agire e di prendere decisioni.

Non meno importante è il pensiero, la volontà di sollevare i nostri cari da decisioni spesso difficili; difendere e deresponsabilizzare la figura del medico, che non risponderà del reato di aiuto al suicidio, come previsto dal codice penale. Il medico dovrà attenersi alle richieste del paziente, alla sua volontà di ricevere le cure parzialmente o di non riceverle; solo così sarà esente da responsabilità medica civile e/o penale.



2) Suicidio assistito: dalla Svizzera con amore, all’Italia con il codice penale.


L’articolo 580 del codice penale italiano vieta in ogni momento, in ogni caso, la determinazione, il rafforzamento, l’agevolazione dell’esecuzione del suicidio; punendo il fatto con una pena decisamente alta: dai 5 ai 12 anni.


La gravità della pena, trova però il suo contrappeso nel diritto alla vita, sancito in ogni stato, ed in particolar modo nel nostro, dove i delitti contro la persona, da sempre reputati come i più gravi, sono puniti così severamente. Ma cosa succede se, a pochi chilometri da noi, in un altro paese, questo fatto non è reato, anzi, è addirittura permesso in cliniche abilitate?


Questo è il caso della Svizzera, paese tanto vicino a noi geograficamente, quanto lontano dal punto di vista del fine-vita.


Una prima distinzione va fatta dicendo che il suicidio assistito NON è eutanasia. Nel suicidio assistito, il medico compierà solamente un aiuto, un’agevolazione, un’assistenza appunto, al suicidio del malato; sarà il paziente, in autonomia, a dover ingerire il farmaco o nei casi di malati tetraplegici, dovrà mordere un pulsante che libererà una sostanza (Pentobarbital) tale da procurargli una morte senza dolore.


In Svizzera infatti, questa pratica viene espressamente prevista nel codice di procedura penale, il quale non punisce come reato il suicidio assistito, a certe condizioni. Le condizioni principali sono l’irreversibilità della malattia, l’utilizzo di cliniche specializzate e la volontà espressa in un testamento biologico sulle modalità di porre fine alla sua vita. Il malato potrà rinunciare e revocare il proprio consenso in ogni momento.


Ed è proprio di aiuto al suicidio che tratta una sentenza epocale della Corte Costituzionale.


3) Marco Cappato e Fabiano Antoniani: tra coraggio e diritto


Fatto: Fabiano Antoniani (in arte Dj Fabo) ha un incidente stradale che lo rende tetraplegico, incapace alla respirazione ed alla alimentazione, ma lo lascia intatto dal punto di vista intellettivo. Dopo vari tentativi di recupero la sua condizione viene diagnosticata irreversibile. Nasce in lui il desiderio di porre fine alla sua vita, di terminare gli spasmi ed il dolore.


Entra così in contatto con un’associazione svizzera che si occupa di assistenza al suicidio e con Marco Cappato, esponente dei Radicali e dell'Associazione Luca Coscioni. Marco, dopo aver cercato di farlo desistere, si propone per portarlo con una auto apposita, presso la clinica in Svizzera.


Dopo aver rispettato tutte le procedure di consenso, accertata l’irreversibilità della malattia, Fabiano si auto-inietta il farmaco, attraverso l’utilizzo di una macchina attivata mediante l’uso della bocca.


Di ritorno in Italia Marco Cappato si costituisce volontariamente.


Diritto: Marco Cappato ha dovuto rispondere, secondo l’articolo sopra citato 580 del codice penale, dell’aver rafforzato ed agevolato l’esecuzione del suicidio di Dj Fabo.


Il procedimento, su richiesta della Procura, viene rimesso alla Corte Costituzionale, la quale accoglie positivamente la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. “[…] nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) – ovvero […]con modalità equivalenti […] agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.”


Il 23 dicembre 2019 Marco Cappato viene dichiarato non punibile e viene assolto dalla Corte di assise di Milano perché il fatto non sussiste.


- Leggi anche: il giusto processo



4) Conclusioni


Il diritto alla vita previsto nella CEDU (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) trova quindi, in essa stessa, un diritto opposto, o se vogliamo, una libertà opposta.


Prendendo spunto dagli articoli 2 ed 8 “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.

Ed è qui anche grazie alla Costituzione, alla sentenza della Corte Costituzionale, al coraggio di Fabiano Antoniani e di Marco Cappato si può affermare la Libertà di ogni individuo, a determinate condizioni, di lasciarsi morire, a dispetto di religioni e morale.


La domanda che sorge è questa: in Italia manca una disciplina che regoli sia il suicidio assistito, sia l’eutanasia.

Se, quando e come ci si spingerà oltre, si arriverà ad ottenere un vero e proprio riconoscimento legislativo della libertà di morire?


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