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L'ARTE DELLA PROTESTA



All’alba della (vera) fase 2 abbiamo assistito ad una delle immagini più crude mai registrate con uno smartphone; stiamo parlando dell’uccisione di George Floyd, afroamericano spentosi dopo una lentissima agonia sotto il ginocchio di un poliziotto freddo ed impassibile. Da quel momento lì sono scattate manifestazioni furibonde contro le discriminazioni raziali che hanno messo a soqquadro prima la città di Minneapolis, luogo in cui è avvenuto il fatto, poi l’America ed infine tutto il mondo. Chiunque abbia visto quelle immagini atroci si è fermato a pensare, anche solo un attimo, a ciò che era accaduto e a come contrastare questo fenomeno sempre molto lontano dall’essere debellato. Ognuno, dunque, ha riflettuto a cosa fare per manifestare il proprio dissenso nei confronti di questo male da sconfiggere. Il gesto simbolo della protesta è stato quello del movimento “Black lives matter”, che consiste nell’inginocchiarsi ed alzare il pugno al cielo.

Come sempre, però, molti si sono fatti prendere la mano e alcune proteste sono degenerate in situazioni paradossali. Un esempio è l’accusa lanciata da una ex laburista Fiona Onasanya contro i Coco Pops, nota marca di cereali, tacciata di razzismo per l’utilizzo della simpatica scimmietta che da ormai quasi settant’anni ha come mascotte dei suoi prodotti.

Altra reazione alla vicenda Floyd è stata quella di Hbo, noto servizio di video on demand statunitense, che ha deciso di togliere dal proprio catalogo “Cops”, serie tv che parla di poliziotti gentili e (seppur temporaneamente) “Via col vento”, accusato di raffigurare pregiudizi raziali. La figura incriminata è quella di Hattie McDaniel nei panni di Mami, ruolo che le valse l’oscar come attrice non protagonista, la prima afroamericana a ricevere questo riconoscimento, tra le altre cose.



Altri, invece, hanno deciso, di prendersela con le statue raffiguranti personalità che nel passato hanno avuto legami con il razzismo o con discriminazioni di minoranze: e quindi via a gettare nel fiume la statua di Edward Colston, mercante di schiavi del diciassettesimo secolo ma anche donatore a scuole, chiese e orfanotrofi di Bristol, a vandalizzare la statua di Churchill e a imbrattare il monumento di Montanelli, giusto per tornare a casa nostra.

Ma tutto ciò, ai fini della rivolta, serve veramente a qualcosa? No.

Il concetto su cui focalizzarsi non è tanto la legittimità della presenza di quelle statue (di cui qui non tratteremo) ma di come la storia sia spesso interpretata e letta da un punto di vista sbagliato, che si parli di monumenti, film, mascotte, ecc. Per capire ciò occorre citare l’opera “Pitture ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento” di Michael Baxandall, famoso storico dell’arte, nel quale parla della cosiddetta “Visual Culture”. Con questo concetto, Baxandall spiega l’importanza di ricondurre gli stili pittorici di qualsiasi periodo storico all’insieme delle abitudini, stili e percezioni della società all’interno della quale queste immagini circolano. Possiamo dire dunque che qualsiasi rappresentazione artistica di una determinata epoca storica viene osservata ma anche prodotta in stretta correlazione con lo stile e gli ideali acquisiti attraverso la propria esperienza. Questo concetto non solo ci spiega come osservare un’opera d’arte nel migliore dei modi, ma ci fa capire il motivo reale per cui prendersela con statue, film o mascotte, prodotte con la mentalità, l’occhio e gli ideali sociali non “contemporanei”, sia una cosa completamente folle.



Ma alla fine, quindi, cosa dobbiamo fare per far sentire nel modo corretto la nostra vicinanza? Dovremmo continuare a sostenere la lotta alle discriminazioni con manifestazioni che ricordino a tutti ciò che è successo e che non dovrà MAI più accadere, ricordando Floyd e tutte le persone violentate, stuprate ed uccise per cause razziali. Ma tutto questo non basterà; perché mentre faremo ciò, non dovremmo dimenticarci di tutto quello che accade nel resto del mondo e noi, in particolare, dovremmo soffermarci a guardare ciò che succede nel nostro amato paese dove, secondo un analisi del “Messaggero”, tre episodi di violenza su quattro hanno una matrice razzista; un paese nel quale abbiamo visto cinesi picchiati perché “untori”, solo alcuni mesi fa, madri africane disperate redarguite in ospedale perché “troppo rumorose” dopo la morte del figlio, migranti sfruttati per più di dodici ore nei campi per pochi euro al giorno e tanto, anzi, troppo altro.

Queste sono le situazioni per cui ci dovremmo indignare, i bersagli della nostra lotta, i fatti per cui dovremmo protestare e far sentire la nostra voce; cerchiamo di indirizzare dunque tutte le nostre forze affinchè la mentalità cambi e si possa così vivere in un mondo, una volta per tutte, migliore.

Avevi mai riflettuto su tutto ciò? Faccelo sapere con un commento!




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