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Melissa Meniconi

L'eccidio di Sant'Anna: storia di un lungo silenzio


Un' immagine d'archivio mostra una fucilazione di civili sul posto

Con il crollo del fronte di Cassino nel 1944 le armate tedesche in Italia si trovarono in una situazione precaria, sotto costante pressione delle armate alleate che stavano risalendo la pianura Padana. Le forze tedesche si ritirarono così lungo la linea difensiva allestita sull’Appenino tosco- emiliano: la linea Gotica. La presenza però in quelle zone di numerose formazioni partigiane, rappresentava per i tedeschi un effettivo problema; si segnalò così una forte radicalizzazione dell’atteggiamento degli occupanti nei confronti della popolazione civile accusata di proteggere la guerra partigiana.

La Versilia in quel periodo costituiva il fronte occidentale della Linea Gotica e un’intera divisione di Waffen-SS era dislocata in quel tratto. La popolazione civile avrebbe dovuto a poco a poco evacuare l’area. Fu così che il paese di Sant’Anna di Stazzema dette accoglienza a diverse centinaia di rifugiati, in quanto dichiarata “zona bianca” dal comando tedesco nell’Agosto del 1944.

Il 5 Agosto i tedeschi ordinarono però lo sfollamento anche di Sant’Anna, ordine che poi venne annullato pochi giorni dopo, dietro l’assicurazione che nel paese non stazionavano partigiani, i quali avevano precedentemente abbandonato la zona senza aver svolto operazioni militari di particolare entità contro i tedeschi. La vita degli abitanti riprese così ritmo normale, nessuno presagiva lo scatenarsi da lì a poco della furia nazista. La notte di San Lorenzo le madri cantavano la ninna nanne ai figli ma c’era poca voglia di cercare le stelle ed esaudire i desideri, un presentimento si faceva sempre più certo.


All’alba del 12 Agosto tre reparti della 16esima divisione Panzergrenaider delle SS comandate da Max Simon circondarono la frazione di Sant’Anna salendo da Vallecchia-Solaio, Ryosina, Mulina di Stazzema, mentre un quarto reparto, a valle, bloccava qualsiasi via di fuga da Valdicastello. I racconti dei superstiti riferiscono che i nazisti non erano soli ma, «accompagnati da uomini con il volto coperto, non volevano essere riconosciuti ma li tradì l’accento: il versiliese».

Gli abitanti non avrebbero mai pensato ad una strage ma piuttosto ad una normale operazione di rastrellamento, ecco perché molti uomini si rifugiarono nei boschi ma come poi accertato in seguito dalla magistratura italiana, si trattò di un atto terroristico premeditato con l’obiettivo di sterminare un’intera popolazione per distruggere ogni forma di collegamento tra civili e i partigiani presenti nella zona.


In poco più di tre ore centinaia e centinaia di civili furono uccisi brutalmente come narrato da Manlio Cancogni, scrittore, giornalista e insegnante italiano.


«I tedeschi, a Sant’ Anna condussero più di 140 esseri umani, strappati a viva forza dalle case, sulla piazza della chiesa. Li avevano presi quasi dai loro tetti; erano mezzi vestiti, avevano le membra ancora intorpidite dal sonno [...], li ammassarono prima contro la facciata della chiesa, poi li spinsero nel mezzo della piazza [...] e quando puntarono le canne dei mitragliatori contro quei corpi li avevano tanto vicini che potevano leggere negli occhi esterrefatti delle vittime che cadevano sotto i colpi senza avere tempo nemmeno di gridare. Breve è la giustizia dei mitragliatori; le mani dei carnefici avevano troppo presto finito e già fremevano d’impazienza. Così ammassarono sul mucchio di corpi ancora tiepidi e forse ancora viventi, le panche della chiesa devastata, i materassi presi dalle case, e appiccarono loro fuoco. E assistendo insoddisfatti alla consumazione dei corpi spingevano nel braciere altri uomini e donne che esamini dal terrore erano condotti sul luogo, e che non offrivano alcuna resistenza. [...] Gli abitanti erano spinti negli anditi, nelle stanze e pianterreno e ivi mitragliati e, prima che tutti fossero spirati era dato fuoco alla casa; e le mura, i mobili, i cadaveri, i corpi vivi, le bestie nelle stalle, bruciavano in un’unica fiamma. Poi c’erano quelli che cercavano di fuggire correndo fra i campi, e quelli colpivano al volo con le raffiche delle mitragliatrici, [...]. Poi c’erano i corpi dei bambini, i teneri corpi dei bimbi a eccitare quella libidine pazza di distruzione. Fracassavano loro il capo [...] e infilato loro nel ventre un bastone, li appiccicavano ai muri delle case [...]» raccontava Manlio Cancogni.


Sant'Anna di Stazzema 77 anni fa

Il 12 Agosto 1944 i nazisti commisero orrori difficili da raccontare con una crudeltà inimmaginabile: sventrarono donne incinta e colpirono i feti con la pistola, ci fu «un totale blackout dell’umanità» definisce Maurizio Verona. A mezzogiorno circa tutte le case erano distrutte e i suoi abitanti uccisi o sfollati. Chi era riuscito a scampare a tale orrore era corso verso il basso a portare notizia agli abitanti della pianura, mentre i tedeschi correvano dietro trucidando chi incontravano fino a Valdicastello; poi quando sopraggiunsero cominciarono a rastrellare gli abitanti già angosciati.



Le vittime accertate furono 560, in prevalenza donne e minori contro cui si consumarono i crimini più atroci commessi nel secondo dopoguerra in Italia. Le loro storie ci sono narrate dai sopravvissuti perché «la memoria è un dovere di fronte all’attuale rigurgito di idee e simboli nazifascisti», afferma il sindaco di Sant’Anna di Stazzema.


Leopolda Bartolucci all’epoca aveva 12 anni, quando nella strage perse il padre Adolfo. Lei e la madre si salvarono e da quel giorno Leopolda cominciò a raccogliere foto, testimonianze e appunti che hanno permesso di dare dei volti ai tanti bambini uccisi. Gli album fotografici da lei custoditi

contengono immagini di bimbi e il loro nome, età, provenienza e gradi di parentela, un lavoro accurato volto a ridare dignità a chi a seguito dell’eccidio l’aveva persa. Inoltre Leopolda ha avuto interesse nel conservare gli effetti personali delle vittime quali una bambola, il cappello bruciato del padre, un orologio fermo alle 6 e 52 ed un vestito; oggetti che hanno una storia da raccontare e che oggi sono posti al Museo storico della Resistenza a Sant’Anna, per tenere vivo il ricordo.



L'orologio fermo 10 alle 8

Altra storia rimasta particolarmente impressa è quella della famiglia Tucci. Antonio Tucci proveniva da Foligno, città che aveva lasciato per intraprendere la carriera in marina, ed era ancora un marinaio quando conobbe sua moglie: Bianca Prezioso.

A seguito della nascita dei suoi otto figli, e con lo scoppio della guerra, Antonio pensò di trasferirsi in una frazione più tranquilla e apparentemente sicura come quella di Sant’Anna di Stazzema, dove vivere con la sua famiglia. Nella mattina del 12 Agosto però, tutta la sua famiglia fu terribilmente uccisa: la moglie Bianca e i figli Anna Maria di 18 anni, Luciana di 14, Eros di 1, Feliciano di 10, Maria Grazia di 8, Franca di 6, Carla di 3 e Maria, di soli 3 mesi. Nel 1953 Antonio, non potendo più vivere con tale dolore, si tolse infine la vita.



La famiglia Tucci

Il sindaco Maurizio Verona ci dice: «I superstiti sono diventati ambasciatori che ancora oggi raccontano le loro tragiche storie ai giovani e alle scolaresche che visitano Sant’Anna di Stazzema, di particolare rilievo ed aiuto per tenere viva la memoria sono le parole di stazzemesi quali le Sorelle Pardini, Enrico Pieri e Enio Mancini».


Adele e Siria Pardini avevano rispettivamente 4 e 9 anni quando insieme alla famiglia furono messe al muro per essere fucilate dai tedeschi; riuscirono a salvarsi grazie alla madre Bruna che cadendo aprì la porta alle loro spalle.



La famiglia Pardini

Enrico Pieri aveva 10 anni quando il 12 Agosto si nascose sotto la scala di casa e vide morire per mano nazista i genitori, due sorelle, nonni, zii e cugini. Oggi ad 86 anni è presidente dell’associazione Martiri di Sant’Anna di Stazzema ed è stato insignito Commendatore dell’ordine al merito della Repubblica Italiana per l’impegno di tutta una vita a favore della memoria e della diffusione della conoscenza storica e dei principi democratici.


Enio Mancini, invece, aveva 6 anni, quella mattina fu messo contro un muro insieme ad un altro centinaio di persone. Avevano già il treppiedi davanti al loro quando sopraggiunse l’ordine di spostare tutti nella località di Valdicastello. I civili allora vennero affidati al controllo di un giovane nazista che gli disse di stare zitti e scappare, Enio ricorda ancora che il soldato stava sparando in aria.


Nei giorni immediatamente successivi all’attacco i sopravvissuti, temendo che i nazisti potessero tornare al paese, si rifugiarono in grotte e gallerie vicine alle miniere. Fu solo dopo il mese di Settembre, con l’arrivo degli alleati che i superstiti fecero ritorno al paese, nelle poche case rimaste integre. Con la fine del secondo conflitto mondiale, fu avviata la ricostruzione del paese e del Monumento Ossario che ancora oggi commemora i martiri dell’eccidio.



Il monumento Ossario

Il monumento non servì a dare giustizia alle vittime, la cui memoria è stata dimenticata dal nostro Paese per quasi cinquant’anni. Solo nel 1948, nell’ambito del processo a Max Simon, tenutosi a Padova da un Tribunale inglese, alcuni superstiti furono ascoltati. Ma Simon fu infine graziato e come lui anche Walter Reder, comandante del XVI Gruppo Esplorante SS, assolto per insufficienza di prove nel 1951.

Da allora, l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema cadde in una sorta di oblio, non ci fu nessuna indagine giudiziaria e il paese era ancora del tutto isolato senza strada e telefono. Si dovette attendere fino al 1995 quando, su richiesta del Comune di Stazzema e l’Associazione dei Martiri, vennero inviati dall’Archivio di Stato Americano i fascicoli relativi alle indagini del periodo immediatamente successivo all’eccidio.


Nel 1994, a Palazzo Cesi a Roma, sede della Procura Generale Militare, fu rinvenuto un armadio nel quale erano contenuti i fascicoli d’inchiesta riguardanti il periodo della seconda guerra mondiale. Si trattava di 695 dossier e un grande registro con 2273 voci su reati di guerra commessi sul territorio italiano dalle truppe nazifasciste. Conosciuto come l’Armadio della Vergogna come definito da Franco Giustolisi, perché tutti i documenti rinvenuti furono presto occultati dalla ragion di Stato. Era il periodo della Guerra Fredda e con il mondo diviso in due blocchi, la nuova Germania doveva entrare nella Nato, contro l’avanzata sovietica.

Grazie all’azione del Comitato di Verità e Giustizia, costituitosi a Stazzema nel 2000, la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, nel 2001 al termine di un’indagine sui fascicoli rinvenuti nell’Armadio della Vergogna, ha chiesto l’istituzione di una Commissione Parlamentare d’inchiesta per far luce sulle cause che portarono all’occultamento e insabbiamento dei crimini commessi e delle relative prove.


Il processo dell’eccidio, portato avanti da Marco de Paolis arriva a sentenza il 22 Giugno 2005, dopo 61 anni dall’eccidio. Il Tribunale Militare di La Spezia emette il dispositivo si sentenza con cui dichiara colpevoli i dieci imputati delle SS: Gerhard Sommer, Alfred Schonenberg, Werner Bruss, Heinrich Schendel, Heinrich Sonntag, Georg Rauch, Horst Richter, Alfred Concina, Karl Gropler, Ludwig Goring, tutti condannati all’ergastolo. La sentenza è poi stata confermata alla Corte d’Appello Militare di Roma il 21 Novembre 2006 e ratificata dalla Prima Sezione penale della Cassazione l’8 Novembre 2007.

«Grazie al contributo di De Paolis si arrivò fino al quarto grado di giudizio, ma nessuno dei convenuti si è mai fatto un giorno di carcere, furono tutti condannati in contumacia. Nonostante i numerosi appelli alla Procura di Stoccarda e Amburgo, questi archiviarono l’inchiesta per l’assenza di prove documentali comprovanti la responsabilità individuale dei 17 accusati ancora in vita», mette in luce Maurizio Verona. È una vera vergogna!


Nel 2013, per la prima volta, il Presidente della repubblica Federale Tedesca Joachim Gauck venne a Sant’Anna di Stazzema su invito del Presidente della Repubblica Napolitano, e si scusò profondamente per l’accaduto del 1944 affermando come «la conciliazione non può essere oblio, i crimini compiuti qui non possono essere dimenticati». «Furono decisamente delle parole di conforto per i superstiti, che non hanno mai avuto un sentimento di vendetta ma certamente tanta voglia di giustizia», dice il sindaco.



«L’importanza di ricordare a distanza di 77 anni è per non dimenticare ciò che successe quel 12 Agosto del ’44. Sembrano cose mai accadute. Ci sono giovani goliardici che espongono tutt’oggi simboli nazifascisti ed a mio avviso perché non ne conoscono il significato. Per questo chiamo in campo il Ministero dell’Istruzione. Come ci mostrano i dati Eurispes siamo passati dal 2,7% nel 2004 al 15,6% di italiani che sostiene che la Shoah non sia mai avvenuta ed il 12,7% crede che il leader fascista sia un buon leader. Dobbiamo lavorare in ambito culturale e dell’istruzione e comprendere che il fascismo altro non è che un’ideologia criminale. C’è la Legge Mancino e la Legge Scelba ma manca qualcosa di più incisivo. Da qui nasce la volontà di una proposta di legge che parta dal basso contro la propaganda e la diffusione di messaggi inneggianti a fascismo e nazismo» ci dice il sindaco Maurizio Verona.

Ci sono famigliari delle vittime e superstiti ancora in vita che vivono l’anniversario ed ancora quotidianamente con particolare ansia nel voler trasmettere alle nuove generazioni ciò che accadde a Sant’Anna di Stazzema, «di quanto ci è costata la libertà e la democrazia, di quanto abbiamo lottato per ottenerla, così che mai più accadono crimini contro l’umanità», sottolinea il sindaco.

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