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L’elettroshock nel 2020



Gambe e braccia immobilizzate al letto da cinghie rigide, cavi elettrici, medici con volti poco rassicuranti e un paziente in preda a convulsioni dolorose. Questa l’immagine più comunemente condivisa dell’elettroshock, consolidata nel sentire comune da scene di film e libri (tra cui lo storico ‘’qualcuno volò sul nido del cuculo’’) che denunciano l’utilizzo repressivo e brutale che se ne faceva nel secolo scorso. È importante riconoscere e ricordare gli errori commessi in passato, ma allo stesso tempo è sbagliato creare discriminazione e stigma su una terapia che ad oggi è stata totalmente rivoluzionata ed è per alcuni pazienti l’unica speranza contro la malattia.


Proviamo a capire cosa è cambiato e perché ad oggi la terapia elettroconvulsivante (ECT) è sicura ed efficace. Innanzitutto, la pratica è indolore: si svolge in anestesia generale e grazie all’iniezione di miorilassanti non vi è il rischio di lesionare muscoli o ossa.


Il dosaggio di corrente trasmessa si è di molto ridotto (impulsi ultrabrevi di pochi volt), limitando così gli effetti collaterali, tra i quali mal di testa, vomito, brevi amnesie, confusione. Anche l’ipotesi che l’ECT danneggi il cervello non ha trovato supporto nei molti studi radiologici svolti negli ultimi anni, non sono state individuate lesioni strutturali post-terapia. Inoltre, sono state definite più chiaramente le linee guida per il suo utilizzo: depressione refrattaria ai trattamenti e alcune forme di schizofrenia. Nel caso della depressione si riscontrano miglioramenti nel 70% dei casi: questo è un dato da non sottovalutare considerando la grande diffusione di questo disturbo (circa 3 milioni di italiani ne sono affetti).


Combattendo lo stigma e il pregiudizio possiamo aiutare chi ha bisogno di questa terapia ad accettare il trattamento e a scegliere una vita migliore. E allora, non è forse arrivata l’ora di abbandonare ‘’il nido del cuculo’’?




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