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Andrea Bellini

La decadenza della telecronaca


La telecronaca é un arte in decadenza?
La telecronaca é un arte in decadenza?

Febbraio 2004

Seedorf si accentra. Tiro. Tiro...GOAL! GOAL!
GOAAAL!!! GOOAL!!! Ricardo! E andiamo! E andiamo! E andiamo!
Seedorf si accentra... Prova la conclusione... GOAL! GOOOAAL! GOOOOOAL! Clarence Seedorf l’ha messa!

Un curioso personaggio con capelli grigio-bianchi e un simpatico baffetto si agita sullo schermo del televisore dinnanzi ai miei occhi. Grida, salta e agita le braccia. È abbastanza scomposto e ad un certo punto pare quasi si metta a piangere. È una fredda notte di Febbraio e l’anno é il 2004. In campo si sfidano Milan ed Inter in un derby di Milano di cui si può già percepire l’importanza ai fini della classifica, con i rossoneri in testa e il biscione in crisi di risultati. Per il me di dieci anni l’occasione é di quelle speciali. Una gran partita in programma, un piacevole serata in compagnia di mio padre (rigorosamente Milanista) e tanti campioni da ammirare. Ma una persona in particolare era capace di solleticare la mia curiosità e nutrire il mio entusiasmo. Il curioso personaggio con i baffi. Il suo nome é Tiziano Crudeli; lavora come telecronista per un emittente chiamata Telelombardia e fa parte di un programma chiamato QSVS (Qui Studio a Voi Stadio, come mi spiegherà meglio mio padre). È un uomo simpatico, i cui metodi nel raccontare le partite riescono a trasmettere emozioni e divertire. Spesso i dibattiti in studio tra i diversi opinionisti sono interrotti dalle sue grida, di terrore quando la sua squadra rischia di subire un goal o di gioia quando ne segna uno. La sua squadra del cuore é il Milan ed é quindi intuibile perché si attiri anche le simpatie di mio padre. Quell’anno il Milan vincerà il suo scudetto numero 17 ed io e mio padre finiremo per guardare le telecronache di QSVS quasi più spesso delle partite stesse, nonostante l’abbonamento a Sky, che si apprestava a fare il suo imponente ingresso nel mondo televisivo italiano. È il punto più alto raggiunto da Tiziano Crudeli, almeno per quanto riguarda la mia esperienza. Quelli sono anche probabilmente gli ultimi anni di gloria del calcio italiano, prima di sprofondare nel baratro dello scandalo Calciopoli.


Come detto, Sky si affaccia prepotentemente sul panorama televisivo Italiano e, soprattutto in occasione dei mondiali del 2006, si afferma definitivamente come leader nella trasmissione di contenuto sportivo, il cui pezzo da novanta resta la Serie A. In quegli anni si affermano definitivamente molti telecronisti destinati a dominare la fine degli anni 00 e primi anni 10 del XXI secolo. Due in particolare erano tra i miei preferiti: Maurizio Compagnoni e Fabio Caressa. Ognuno con un proprio stile e la propria, inconfondibile terminologia. Il "RETEE! RETEE!" Di Compagnoni e il nome e cognome del calciatore in goal enunciati da Caressa erano sufficienti a provocare ondate di adrenalina nella mia giovane ed errante mente che, come quella di ogni ragazzino, fantasticava di trovarsi sul rettangolo verde e segnare il goal decisivo. Spesso a scuola o durante le partitelle tra amici si imitava simpaticamente la telecronaca.



Aprile 2020


Flash forward al 2020. La pandemia di coronavirus é scoppiata da poco e per distrarmi dal caos e dall’incertezza che dilaga nel mondo intorno a me decido di fare un tuffo nel passato, probabilmente come inconscio meccanismo di difesa. Durante quel primo lockdown ho passato parecchio tempo a guardare video di vecchie partite, ricordando dolcemente quegli anni innocenti. Naturalmente il primo stimolo é dato dalla telecronaca. Ad un certo punto mi chiedo come siano le telecronache delle partite di questi anni. A causa di esigenze lavorative e nuovi interessi non ho più avuto occasione di celebrare quel rito sacro che era la domenica sportiva. Ricordo le polemiche in seguito ad una telecronaca del giornalista di Sky Trevisani durante un Inter-Tottenham di Champions League del 2018, il quale urlò in modo forse esagerato ai goal dell’Inter nel finale di partita (vinta in rimonta e nei minuti di recupero, quindi una situazione comunque emozionante). Decido dunque di riguardare quegli highlights e, obiettivamente, non posso che percepire un leggero fastidio dovuto all’eccesso di entusiasmo. Ecco dunque che improvvisamente mi compare tra i suggerimenti di YouTube un video di Tiziano Crudeli. La partita é, incredibilmente, ancora un Milan-Inter. Anno del Signore 2017. Tredici anni sono passati tra questa telecronaca e quella del 2004. Sufficienti per fare un confronto, penso. E il video non tradisce le mie aspettative. Un altra rimonta del Milan che si trovava sotto di due goal (come nel 2004!) e segna all’ultimo secondo di un lunghissimo recupero. Vi é tutto l’occorrente per una grande telecronaca, tante emozioni e grande entusiasmo. Eppure...

Eppure il simpatico uomo con i baffi che tanto esaltava le mie serate un decennio prima ora appare terribilmente diverso. Non c’é quasi più emozione nella sua voce e la sua reazione ai goal appare una pallida controfigura di quelle a cui ero abituato.


Goal! Goal, goal, goal, goal! Roma-, Roma-, -gnoli, -gnoli (goal dell’1-2)
Miao! Miao! Bau! Bau! Miao, Bau. Miao, Bau (goal del 2-2)

Sulla rete che riapre la partita l’unica reazione é una stanca e neanche troppo convinta mitragliata di “goal” cui segue il nome, spezzato, del giocatore ad aver segnato. Sul goal del pareggio (forse dovuto anche alla confusione dell’azione) un momento di sospensione prima di lanciarsi nell’enunciazione di versi canini e felini. La mancanza di creatività e i toni stanchi sono probabilmente dovuti al periodo nero del Milan di quegli anni, la cui disastrosa rosa era con ogni probabilità sufficiente a gettare anche i tifosi più tenaci nello sconforto totale (incluso mio padre).

Poi però ho guardato le sintesi di altre partite, alternando il vecchio ed il nuovo. La conclusione a cui sono giunto é che il contenuto sportivo attuale, non solo calcistico, é terribilmente peggiorato. Alle caratteristiche del contenuto televisivo generalista non corrisponde un’offerta creativa adeguata. È il gusto per il ridicolo a guidare questo processo, iniziato prevalentemente in altri contesti televisivi ed ora allargatosi anche allo sport. Sia chiaro, programmi come QSVS e personaggi come il buon Tiziano Crudeli non erano da prendere troppo seriamente quindici anni fa così come non si dovrebbero prendere seriamente ora. Il loro compito era e rimane quello di far divertire gli spettatori. Ciononostante non posso fare a meno di osservare il baratro in cui la creatività sta sprofondando. La stupidità di gag e costumi (pure a quelli si é arrivati) indossati in studio non offre nulla di creativo ai miei occhi. Anzi, ultimamente pure quei personaggi che ammiravo da ragazzino hanno perso molto dello smalto di un tempo e si ha quasi l’impressione che siano caduti vittime del proprio personaggio. Pure mio padre non guarda quasi più quei programmi che un tempo non troppo lontano scandivano il ritmo delle domeniche in famiglia. Quel che é peggio é che si tratta di un discorso chiaramente estendibile a molteplici contesti e programmi. La TV non comunica più informando, ma comunica urlando.


Proprio nel 2020, in Aprile, ci lasciava Franco Lauro, grande giornalista e telecronista RAI. Voce nota di Rai Sport, si era contraddistinto per la pacatezza e l’abilità di argomentare senza alzare i toni, anche qualora le discussioni si facessero incandescenti. Da appassionato di basket non posso non ricordare la straordinaria telecronaca di Italia-Lituania, semifinale delle Olimpiadi ad Atene 2004. Sempre ad Atene, un trentacinquenne Yuri Chechi conquistava un incredibile bronzo agli anelli in quella che sarebbe stata la sua ultima Olimpiade. Come dimenticare lo stupendo commento del giornalista Andrea Fusco, che con sublime padronanza della lingua italiana paragonava Yuri ad una foglia che si arrende sì all’autunno, rivendicando a sé la grazia del volo. Perché dunque tanta differenza? La risposta che cerco di darmi e che tutto dipende dalla natura del programma, l’abilita dei giornalisti-telecronisti e soprattutto che cosa si intende comunicare. Purtroppo però, osservando la decadenza di alcuni programmi che dovrebbero mantenere un certo stile sono più incline a pensare che il tutto sia riconducibile a questo nuovo modo di comunicare. Sono piuttosto fatalista per quanto riguarda l’utilizzo dei social media e l’influenza che essi hanno e avranno sulla comunicazione. La necessità di spremere un contenuto in 30 secondi cozza inevitabilmente con quella di elaborare ed ampliare un argomento di discussione. La conseguenza più grave, tuttavia, é l’incredibile abbassamento della soglia di attenzione. Non riuscendo a restare concentrati per più di un minuto come si può pensare di comunicare?

La telecronaca non é solo descrizione meccanica bensì un’ occasione per interagire con lo spettatore, questo dovrebbe essere l’incipit da cui partire. È il medium che rende possibile suscitare emozioni, stimolare la nostra immaginazione, trasportarci lì insieme agli atleti, anche solo per un istante. Per fortuna alcuni ottimi giornalisti-telecronisti e proprio da loro dovremmo partire. In una società che predilige sempre più l’estetica rispetto al contenuto, sarebbe bene riscoprire ed ampliare una vecchia tradizione come la telecronaca (o radiocronaca che sia), riscoprendo l’abilità di comunicare, anziché gridare.


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