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LA STORIA DEI RIMBOSCHIMENTI



La gestione delle foreste orientata alla produzione di legname nasce in Germania nel XVIII secolo, con Hans Von Carlowitz, un selvicoltore economico.

Inizialmente, la gestione delle proprietà forestali era riservata ai cacciatori, i cosiddetti Jeager, ma successivamente nacquero delle scuole, le Meister Schulen, per la caccia, con lo scopo di insegnare come organizzare un bosco per svolgere questa attività.


Successivamente, nei territori dell'ex Impero Austroungarico nacquero delle nuove scuole tecniche forestali, dove veniva insegnata la storia forestale con un approccio sia umanistico che tecnico. Un esempio di queste fu la scuola di Vallombrosa dove il primo direttore fu proprio un filosofo tedesco. L'istruzione di queste scuole porta i boschi ad avere dei canoni ben precisi: fustaie coetanee trattate con taglio raso e con successiva rinnovazione artificiale (rimboschimenti), adatte a fornire un reddito costante, ma questo tipo di approccio non era condiviso da molti.


Infatti, con l'unione d'Italia vengono istituite nuove leggi, la Legge Forestale (1877) e la Legge sui Rimboschimenti (1883), che limitano l'utilizzazione dei boschi privati, imponendo vincoli ed osteggiando così la libera impresa.


Tra la fine dell'800 e la Seconda Guerra Mondiale, le utilizzazioni aumentano per la guerra, di conseguenza il bisogno di rimboschire. Ma con l'arrivo del fascismo, l'Italia, passa da produttrice di legname a produttrice di grano, portando la popolazione ad abbandonare le montagne ed il bosco.


La Legge Fanfani del 1952, istituita dopo una serie di eventi catastrofici, aveva come obbiettivo quello di fare rimboschimenti, per prevenire questo tipo di eventi, ed offrire posti di lavoro.


Dagli anni Novanta, L'ambito del bosco è in continuo aumento, a causa di leggi sempre più precise che ne diminuiscono l'utilizzo, occupando oggi circa il 30% del territorio italiano.


Ma che ne sarà del paesaggio italiano se la superficie forestale è in continuo aumento?




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