Autore: #LorenzoBruni
L’Unione europea, sin dalla sua nascita, ha sempre scelto l’opzione del multilinguismo: questo permette a tutte le lingue ufficiali riconosciute dell’Unione, di essere messe allo stesso pari a livello di importanza, per permettere la così discussa democrazia linguistica. Ma come abbiamo già spiegato in articoli passati, il multilinguismo è un po’ un castello di carte, proprio a causa del fatto che l’inglese e il francese hanno preso il sopravvento negli uffici dell’Unione. Ed ecco che nell’aria, ormai da tempo, circola una strana ipotesi.
Lejzer Zamenhof, oculista polacco, era un amante delle lingue. Sin da giovane, dati i suoi studi al ginnasio a Varsavia, sapeva il francese, l’italiano, greco, latino, inglese, tedesco e chi più ne ha più ne metta; persino l’ebraico, insegnatogli dal padre. Pensate un po’ che nel giorno del suo 19esimo compleanno, lesse ai suoi compagni di classe una poesia scritta in una lingua allora incomprensibile, da lui stesso creata. Questa nuova lingua è uno scacco matto ai problemi di comunicazione che si creano tra parlanti di lingue diverse.
Ma il padre non credendo fino in fondo nelle potenzialità di Lejzer, e ritenendo questa ossessione del figlio inconcludente, brucia tutti i suoi appunti. Il “bambin prodigio” però non si dà per vinto e allora riprende i suoi lavori sulla stesura di una lingua comprensibile a tutti, facile da studiare e creata a tavolino dalla mano dell’uomo. Nel 1887 Zamenhof giunge alla lingua definitiva, pubblicando l’Unua Libro. Decide di adottare lo pseudonimo di “Doktoro Esperanto” (Dottor Sperante), facendosi vero e proprio paladino della speranza che questa lingua da lui creata potesse finalmente dare vita ad una comprensione totale su scala globale.
Forse ancora non ci siamo calati bene nella realtà, forse l’articolo risulterà inconcludente, proprio come quel bambino, ma è essenziale comprendere a fondo l’importanza dell’Esperanto, o meglio, l’importanza di aver avuto il coraggio di partire da zero, creando una lingua ex novo. Giusto per chiarire, del sopracitato Unua Libro vi sono attualmente soltanto quattro (!) copie presenti rispettivamente nella Biblioteca Nazionale Austriaca, nella Biblioteca dell’Università di Varsavia, nella Biblioteca di stato russa e l’ultima è in possesso di Paolo Barbieri, famoso bibliofilo italiano. E non solo la quantità limitata; il Libro è citato nella Cronologia Generale come uno tra gli eventi più importanti nella storia del mondo, assieme ad avvenimenti quali la scoperta dell’America, l’invenzione del telefono, e via dicendo.
Nel 1905, Zamenhof pubblica in una raccolta chiamata Fundamento de Esperanto, una seconda edizione delle sedici regole grammaticali dell’esperanto assieme ad un dizionario universale della lingvo internacia (la lingua internazionale da lui stesso creata) e ad una collezione di esercizi, dando effettivamente vita alla sua creazione. Lo stesso anno si tenne il primo Congresso Mondiale d’Esperanto, in Francia, e Lejzer stesso pronunciò le seguenti parole:
«Le uniche basi della lingua esperanto fisse per tutti gli esperantisti, che nessuno ha il diritto di cambiare, sono il piccolo lavoro Fundamento de Esperanto. Se qualcuno non concorda con le regole e i modelli dati nella suddetta opera, non potrà mai giustificarsi con le parole "così desidera o consiglia l'autore dell'esperanto. Tutti gli esperantisti hanno il diritto di esprimere le loro idee, che non sono ben espresse dal materiale presente nel Fundamento de Esperanto, nella maniera ritenuta più corretta, come è giusto che sia per ogni altra lingua. Tuttavia, per l'unità della lingua per tutti gli esperantisti viene raccomandato di imitare il più possibile lo stile che si può trovare nelle opere del creatore dell'esperanto, che ci ha lavorato per più tempo e conosce meglio il suo spirito.»
Ecco qua il vero e proprio manifesto dell’esperanto, che però risultò essere più controproducente che altro, perché? L’aver dichiarato la nuova lingua come “bene comune”, priva, di conseguenza, l’inventore di ogni suo diritto e privilegio personale in quanto creatore, dando vita ad una corsa al perfezionamento “matto e disperatissimo” della nuova creazione. Questo non fu un pretesto per la perdizione della lingua, anzi, il fatto che questa fosse stata creata ad hoc per essere studiata in modo semplice ed efficace, contribuì in modo incredibile alla sua diffusione tra intellettuali e persone comuni, che diedero vita al movimento esperantista. Ma ogni gloria prima o poi conosce una caduta: infatti l’esperanto, come abbiamo già detto, è inteso come lingua del mondo, comune a tutti gli uomini, internazionale… parole che non vanno tanto d’accordo con i più grandi totalitarismi che la storia ha conosciuto, a partire da Hitler, fino ad arrivare a Stalin e a Saddam Hussein.
Così la nuova creazione subisce una fase di censura durante il periodo dei più grandi regimi dittatoriali. Proprio a causa del suo internazionalismo, l’ascesa dell’esperanto risulta essere in netto contrasto coi tempi, in cui prevalgono valori quali nazionalismo e patriottismo; se aggiungiamo a tutto ciò il fatto che Zamenhof era nato nell’attuale Polonia, ma proveniva da origini ebraiche, sarà facilmente comprensibile come la sua più grande creazione, fosse stata un qualcosa di inevitabilmente censurabile a prescindere dagli scopi. Ma la sua voglia di diffusione non si è mai fermata: oggi sono più di 1,6 milioni di persone che parlano l’esperanto ad un livello B2 (una certificazione come il First in inglese, per intendersi), in oltre 120 paesi nel mondo. A noi comuni mortali invece basterebbe una frase elementare del tipo “Paolo mangia bene, ma non beve” per sorprenderci ed accorgersi della duttilità linguistica di questa lingua artificiale. Difatti, questa viene tradotta in esperanto così:
“Paŭlo bone manĝas, sed ne trinkas”.
“Paŭlo”, chiaramente di derivazione spagnola, viene accompagnato da “bone”, termine derivante direttamente dal latino “bonum” che, togliendo la desinenza “-um”, ottiene la sua qualità di aggettivo semplicemente grazie all’aggiunta del suffisso “-e”. Il termine “manĝas” ci rimanda invece a verbi a noi conosciuti come “mangiare” e “manger”, con l’aggiunta di un accento circonflesso tipico prima del greco antico e poi del francese. La desinenza “-as”, che ritroviamo sia in “manĝas” che “trinkas” non serve nient’altro che a designare il nostro indicativo presente, non specificandone la persona. Quel “sed”, invece, è preso in toto dal latino e riportato in esperanto, senza modifiche; lo tradurremo con il nostro “ma”. Il verbo “trinkas” invece ci ricorda il tedesco “trinken”.
Come possiamo notare grazie a questo banale esempio, l’esperanto è davvero un mix geniale e semplice delle principali lingue a base latina e greca.
In conclusione, l’esperanto risulta essere una lingua diffusa, più viva di quello che si pensi in realtà; quasi nessuno sa della sua esistenza, basti pensare che secondo uno studio su degli studenti universitari negli USA, soltanto il 6% sapeva cosa fosse l’esperanto, mentre il restante 94% non sapeva nemmeno della sua esistenza. Un dato al limite dell’imbarazzante. È vero, alcune università italiane offrono dei corsi, ma non a livello di programma formativo, quindi facoltativi, e di conseguenza automaticamente scartati perché in generale nemmeno si sa di cosa si stia parlando. Pensate che l’opinione sull’esperanto prima o poi possa cambiare? Ritenete che possa essere una soluzione plausibile da adottare in chiave europea per facilitare la comprensione?
Buona giornata, Lorenzo Bruni!
Ho letto solo ora questo tuo pezzo del 2020 sull'esperanto, che trovo ben fatto, secondo me, e di cui ti ringrazio a nome della comunità esperantofona.
Vorrei però precisare che "bone", che nella tua frase-esempio traduce "bene", è una forma avverbiale, non un aggettivo. Infatti in esperanto tutti gli avverbi hanno la finale in -e e inoltre tutte le parole che si trovano in esperanto con la finale in -e sono avverbi. Se fosse stato un aggettivo, avrebbe avuto la finale in -a, con le stesse regole, senza eccezioni.
Cordiali saluti, korajn salutojn,
Enrico Gaetano Borrello - referente volontario Biblioteca Nazionale di Esperanto, Massa.