Autore: #ViolaBuzzoni
Quest’espressione, da “mono” (cose) e “aware” (un’affermazione di meraviglia), costituisce uno dei pilastri della filosofia giapponese. Malgrado non esista una traduzione letterale, potremmo intenderlo come la capacità di partecipare emotivamente alla caducità delle cose, trovando in essa un senso di “serena malinconia”.
Il concetto viene espresso per la prima volta in uno dei classici della letteratura nipponica, scritto da Murasaki Shikibu nell’XI secolo, il “Genji Monogatari”. Mentre nella letteratura odierna questo tipo di narrazione trova moltissimi esponenti. Forse il più celebre è Kazuo Ishiguro, premio Nobel per la letteratura nel 2017 ed autore di romanzi come “Non lasciarmi” e “Quel che resta del giorno”.
A pensarci bene è una sensazione più che una massima di vita e non è nemmeno lontanissima da noi, come magari la geografia e le differenze culturali potrebbero darci ad intendere. Spesso, quando ai giapponesi stessi viene chiesto il significato di questa espressione, indicano il sentimento di malinconia suscitato dalla fioritura dei ciliegi (in giapponese chiamati “sakura”) che dura soltanto tre giorni, dallo scorrere un vecchio album di famiglia pieno di ricordi o dall’ammirazione di un bellissimo tramonto.
È una partecipazione emotiva di fronte alla caducità delle cose che i giapponesi estendono alla vita intera. Se una persona volesse mettere in pratica un concetto del genere, tutto ciò si tradurrebbe nell’apprezzare ogni singolo momento che ci viene dato, mentre è ancora davanti a noi e lo stiamo vivendo, consapevoli però che non durerà per sempre.
I ciliegi fioriscono ogni anno, ma nessuna fioritura sarà uguale alla precedente. Potrà essere migliore, peggiore, ma mai uguale.
Quello che sorprende in tutto questo è constatare come in realtà siamo tutti molto simili come esseri umani. Anche noi occidentali possiamo apprezzare un concetto come quello del “mono no aware”. Questo non dovrebbe motivarci ad andare al di là dei pregiudizi che permeano le nostre società constatando fra noi le somiglianze, piuttosto che le differenze?
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