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Monogorod: come si vive oggi nelle “monocittà” sovietiche?


Le monogorod sono centri urbani sorti in epoca sovietica attorno a una singola industria, responsabile dell’economia locale e dell’esistenza stessa di queste città. Le aziende si facevano carico della costruzione di quartieri residenziali, di strade e infrastrutture, che garantissero ai lavoratori e alle loro famiglie alloggi, istruzione, assistenza sanitaria, servizi sociali e centri per il tempo libero.


Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, molte “monocittà” sono fallite, mentre tante altre hanno continuato a esistere. Nel 2011, questi centri contribuivano ancora a circa la metà del prodotto interno lordo della Russia. Oggi, le monocittà sono poco più di 300, per circa 15 milioni di abitanti. Alcune funzionano ancora a pieno regime, molte lottano per sopravvivere, altre vengono a poco a poco abbandonate.


Ma come si vive, oggi, nelle monogorod? Sorgono in aree geografiche inospitali e spesso il lavoro che offrono è duro e rischioso. Poiché il loro destino dipende esclusivamente dal benessere di una singola economia, sono vulnerabili a ogni fluttuazione del mercato, e se l’industria inizia a zoppicare, l’esistenza stessa della città è in pericolo.


Mirnyj, nella Siberia orientale, è la “città dei diamanti”: il lavoro è stabile, ma pericoloso, l’inverno dura otto mesi l’anno e le temperature scendono fino a 50 gradi sotto lo zero. Gli abitanti vivono costantemente sul filo del rasoio, a causa del traballante mercato dei diamanti, e in attesa dell’esaurimento del giacimento di kimberlite. Norilsk, che esiste in funzione del nickel, è una delle città più fredde e inquinate del pianeta.


Negli ultimi anni, le monocittà sovietiche sono al centro di esplorazioni fotografiche e indagini giornalistiche, che hanno messo in luce come sia importante comprenderne l’identità per dare loro un futuro. Una trasformazione che tenga conto del benessere sociale, sanitario e ambientale di queste realtà è possibile?




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