
Nonostante pervada la nostra vita, la contabilità è una delle materie che genera più sconforto anche tra gli stessi studenti di economia. Dallo Stato Patrimoniale, passando per la redazione del Rendiconto Finanziario e della Nota Integrativa, molti trovano difficoltà ad affrontare questa materia che resta, ai più, oscura.
Eppure non sempre è stato così.
A cavallo tra il XIV° ed il XV° secolo, in un’Italia nel pieno del tardo medioevo, Francesco di Marco Datini svolgeva la sua attività di commerciante nella ridente città di Prato. Stanziato, infatti, in quella che al tempo rappresentava la capitale europea per gli scambi di tessuti, Datini iniziò a porsi il problema di come tenere traccia di tutti gli acquisti, le vendite ed i crediti concessi ai clienti. L’idea intuitiva del mercante pratese fu quella di segnare due volte ogni importo dovuto e/o ricevuto ricorrendo così ad una versione primitiva della partita doppia. Questa ed altre soluzioni permisero al Datini di consolidare la propria posizione di commerciante di tessuti.
L’intreccio tra Italia e contabilità non finì con Datini.
Nel 1494, sempre in Toscana, il frate Luca Pacioli decise di codificare le regole della partita doppia in un libro che poi sarebbe rimasto nella storia della contabilità “Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita”. Nel famoso capitolo “Tractatus de computis et scripturis” il frate toscano approfondì i rudimenti di Datini e dei mercanti veneziani definendo in maniera chiara i concetti di Dare, Avere e di Bilancio.
A distanza di alcuni secoli, nonostante l’avvento dei sistemi informatici e la crescente complessità delle realtà aziendali, il metodo di Datini e di Pacioli costituisce ancora il pilastro della contabilità aziendale. Che si possa ancora trarre spunto dal passato per colmare il gap di conoscenze contabili del nostro paese?
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