Autore: #RobertoFurno
La risultante che accomuna tutte le lingue è che esse mutano, inesorabilmente. A rigor di logica, se una lingua è capace di importare materiale linguistico esterno, essa sarà anche capace di esportare quello suo interno, purché si manifestino delle condizioni che lo permettano. Ebbene, l’italiano, così come l’inglese oggi, riuscì ad esportare in passato molti più termini ed espressioni nelle lingue europee (e non) di quanto si pensi.
L’Italia, passata alla storia per essere un paese politicamente disunito, riuscì ad esportare materiale linguistico in un altro paese grazie alla sua maestosità culturale. Non è un caso se alcuni italianismi diretti, con o senza adattamenti grafici o fonetici, vengono proprio dall’epoca in cui lo Stivale era la culla della cultura in Europa. I campi semantici sono i più svariati e vanno dalle arti in senso lato fino al commercio.
Alcuni esempi si possono ritrovare reciprocamente nel tedesco “Fassade” (facciata), nel francese “mezzanine” (mezzanino) o in inglese "quartet" (quartetto). Alcuni italianismi indiretti non hanno solo aiutato a formare dei vocaboli che si sono inseriti a pieno ritmo nel parco lessicale di una lingua, ma sono anche, tramite la lingua ricevente, passati in molte altre lingue o sono addirittura tornati indietro. È il caso di “baguette” che deriverebbe direttamente dall’italiano “bacchetta”, ma che dal francese si è stabilito in molte altre lingue fino a ritornare a quella di partenza con grafia e pronuncia mutata. Un prestito andata/ritorno, insomma.
Molto interessanti sono gli pseudo-italianismi, ovvero quegli italianismi presenti in lingue straniere ma che in italiano non hanno un significato. È l’esempio dell’aggettivo “picobello” che nella lingua di Goethe significa “perfetto”, mentre in quella di Dante non è pervenuto.
Concludendo, il contatto linguistico funziona sia in entrata che in uscita. L’italiano ha vissuto (come adesso l’inglese) i suoi tempi d’oro molti anni or sono ed oggi più che mai, invece che stringerci alla corte dei puristi, non dovremmo auspicare ad un rinascimento linguistico nel Belpaese?
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