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Quando nasce l’arte ambientale? Volterra '73 e le origini


Quando nasce l’arte ambientale?

Nel precedente articolo abbiamo visto un esempio tipico di arte ambientale con Fiumara d’Arte. Ma quando nasce l’arte ambientale? È sempre esistita oppure è una pratica solo recente?

Sicuramente degne di menzione, in un discorso sul suo sviluppo storico, sono tutte quelle esperienze che si realizzano sul finire degli anni Sessanta, gli anni del grande attivismo politico che sfocerà poi nel movimento socio-culturale del Sessantotto. Questa forte volontà di partecipazione coinvolge anche il mondo dell’arte che comincia ad abbandonare gallerie e musei, contesti di fruizione elitaria, per divenire invece accessibile a tutti: popolare.

Tra gli esempi più significativi devono essere rammentati “Arte povera più azioni povere” ad Amalfi e “Al di là della pittura” a San Benedetto del Tronto nel 1968 e “Campo urbano” a Como nel 1969.

Le maggiori novità consistevano soprattutto nella realizzazione di performance tra gli spazi delle città: ad Amalfi, Richard Long accoglieva le persone alla fermata del bus stringendo loro la mano, Pistoletto metteva in scena “L’uomo ammaestrato” insieme al gruppo I Guitti ricreando uno spettacolo folkloristico che percorreva le strade urbane cercando di stimolare le reazioni degli astanti, Marotta allestiva il “Giardino all’italiana” attraverso una serie di balle di fieno che, nei migliori casi, vide l’interazione del pubblico che poteva spostarle a formare nuovi spazi.

Se la mostra allestita ad Amalfi prevedeva l’utilizzo anche degli Arsenali, già adibiti in precedenza a funzioni espositive, l’esperienza a San Benedetto andava oltre, adottando, oltre agli spazi cittadini, gli ambienti di una scuola. Anche in questo caso le performance coinvolgevano direttamente il pubblico come nel caso dell’intervento di Mattiacci che realizzò insieme all’aiuto di qualche bagnante una zattera, lasciando poi che fosse trasportata a largo dalle onde del mare.

“Campo urbano” a Como, però, si distinse da queste due manifestazioni a partire dalle sue intenzioni; Luciano Caramel, uno degli organizzatori, sollecitò infatti che gli interventi degli artisti si inserissero effettivamente in un dialogo tra il contesto urbano e gli stessi cittadini: era la prima volta che veniva inoltrata una richiesta del genere, così come del tutto nuovo era il fatto che l’iniziativa e l’organizzazione della mostra venissero portate avanti da un ventaglio di figure non legate ad attività di promozione turistica (com’era stato invece a San Benedetto) oppure a gallerie (come nel caso di Amalfi).

Le aspettative furono però disattese, in parte per la brevissima durata della manifestazione (un solo giorno, dalla mattina alla sera del 21 settembre) ma soprattutto a causa di uno scarso dialogo tra gli artisti, la città e le istituzioni.

Com’è evidente, allora, a questa data non si può ancora parlare effettivamente di arte ambientale, nonostante però si leggano già alcuni sintomi di quello che succederà di lì a poco. È infatti nel corso del decennio Settanta che si registreranno numerosissime esperienze improntate su una attenta dialettica tra arte e ambiente; molte di queste verranno coordinate e indagate dal critico e storico dell’arte Enrico Crispolti il quale ne esporrà un’ampia documentazione alla Biennale di Venezia del 1976 nel padiglione da lui curato, contrassegnato da titolo estremamente eloquente degli spazi d’azione di quelle esperienze: “Ambiente come sociale”.


Performance durante "Campo Urbano" a Como, 1969
Performance durante "Campo Urbano" a Como, 1969


Volterra ’73

La nascita dell’arte ambientale ha sicuramente uno dei suoi momenti fondanti in Volterra ’73, mostra curata da Enrico Crispolti, a Volterra appunto (un piccolo borgo della Toscana), e deliberata dal consiglio comunale come una scelta politica strategica.

In realtà la mostra prendeva le mosse dalla personale di Mauro Staccioli dell’anno precedente il quale aveva realizzato opere in strettissimo rapporto con gli spazi urbani che occupavano.

Per Crispolti l’evento doveva differenziarsi dalle esperienze precedenti facendo sì che la città non fosse un semplice contenitore di opere bensì si legasse intimamente con il manufatto artistico in un rapporto di stimoli reciproci in cui l’una sollecitasse l’altra.

Gli artisti chiamati ad intervenire erano numerosissimi, dallo stesso Mauro Staccioli ai giovani studenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma, ma ancora Nicola Carrino, Franco Mazzucchelli, Ciriaco Campus, Mino Trafeli, Agostino Bonalumi, Nino Gianmarco e molti altri.

Nelle intenzioni di Crispolti vi era il desiderio che le opere fossero frutto di un dialogo con i caratteri identitari della città: il rapporto tra questi doveva essere dialettico poiché l’intervento artistico doveva essere sollecitante alla costruzione di una comunità cittadina attiva. Bisognava, insomma, prendere consapevolezza degli spazi urbani, porsi il problema del luogo, porsi il problema dell’intervento estetico all’interno dell’urbano.

In particolare, caratterizzavano la città alcuni elementi predominanti: l’ospedale psichiatrico allora in mezzo alla bufera delle contestazioni che porteranno poi alla Legge Basaglia nel 1978, il carcere di massima sicurezza, anch’esso estremamente discusso, e infine l’attività artigianale dell’alabastro, da sempre tra i maggiori fattori economici della città e adesso in piena crisi.

Gli interventi degli artisti, allora, dovevano avvicinarsi e comprendere queste realtà attraverso un rapporto di scambio autentico in cui il prodotto artistico non pretendeva di fornire soluzioni bensì sollecitava problematiche: solo così la comunità poteva farsi corpo attivo verso una “consapevolezza dell’urbano”.

Crispolti a fine manifestazione rilevava una serie di risultati grosso modo divisi tra oggetti plastici trasportati e collocati, la soluzione più negativa e meno rispondente al senso dell’evento, interventi plastici studiati e ambientati, azioni effimere o altri interventi progettati in rapporto con l’ambiente, interventi in rapporto con le strutture cittadine, attività in rapporto con l’attività dell’alabastro.

Alcuni esempi…

Mauro Staccioli propose alcune tra le soluzioni più riuscite: ad esempio, la Barriera che egli colloca sul Piano di Castello attaccava, con la violenza formale della sua punta, direttamente il carcere che le stava di fronte.

Nicola Carrino con il suo Costruttivo, costituito da forme elementari scomposte, sollecitò l’intervento del pubblico e in particolare della cittadinanza che dovette collaborare per trasformare quelle unità disarticolate in una struttura compatta. Era il concretizzarsi, nei termini di un’esperienza artistica, di quell’atteggiamento di autogestione che Crispolti si auspicava di generare nei cittadini nei confronti della cosa pubblica.

I cavalli di Gianmarco, nell’Assalto alla Porta all’Arco, dialogavano in maniera diretta con la storia della città di cui la porta medievale e le mura erano certamente i simboli più eloquenti.

Mentre Ugo Nespolo realizzava un intervento di fronte al Centro Sociale dell’Ospedale Psichiatrico coinvolgendo i pazienti, Mazzucchelli coinvolgeva moltissimi ragazzi e bambini impegnati a giocare con i Gonfiabili collocati nella Piazza dei Priori, spazio centrale della città, che tornava ad essere un luogo attivamente vissuto.



Le opere di Gianmarco, Staccioli, Carrino e Mazzucchelli a Volterra '73
Le opere di Gianmarco, Staccioli, Carrino e Mazzucchelli a Volterra '73


Riprendendo le parole dello stesso Crispolti, si cercò di “coinvolgere il maggior numero di aspetti e di situazioni della città stessa: dalla sua fisica realtà di stupenda ma austera scena urbana, alla sua realtà umana, alla realtà delle sue strutture e istituzioni. Ma, se si è coinvolta la città a diversi suoi livelli, si sono coinvolti anche gli operatori nel rapporto non esterno (come è consueto) con la città stessa e i suoi problemi, le sue strutture, la sua realtà umana, appunto.”

Volterra '73 può allora, in virtù di tutto quanto detto, essere considerata una delle esperienze fondanti di quella che sarebbe divenuta l’arte ambientale. La lezione di questa manifestazione risiedette nel “suo carattere dialettico e problematico, nell’essere insomma piuttosto propositoria e stimolatoria che non assiomatica”; l’esemplarità stette nel superamento dei limiti di una singola opera nell’intervento urbano, nella sua autogestione di fatto ulteriormente concretizzata dall’ampio dibattito.

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