Autore: #LorenzoBruni
Vi siete mai chiesti come sia possibile la predisposizione di alcune persone nel dimostrare un’estrema facilità nel parlare? O quanto sia semplice rendere un qualsivoglia discorso talmente intrecciato nel suo insieme, tanto da non capire il senso effettivo e primario dello stesso, come quello che è stato appena scritto?
La capacità di esprimersi, di dominare il linguaggio, di essere convincenti ed avvincenti nel parlato, passa tramite degli ingredienti sia acquisiti che innati.
Tra i fattori innati, troviamo come prima argomentazione il genere di appartenenza: le bambine normalmente parlano prima e meglio dei maschi e soffrono meno di dislessia. Queste differenze sono dovute principalmente ad una diversa anatomia cerebrale e ad un diverso effetto degli ormoni nella parte del cervello adibita alla produzione della parola. Troviamo inoltre, tra i fattori innati, il cosiddetto “orecchio musicale”: questo, nella musica, indica la capacità di un musicista di comprendere, unicamente grazie all’udito, la composizione della musica nel suo insieme. Per quanto riguarda i bambini invece, si intende la predisposizione genetica (e non acquisita) a carpire le varie sfaccettature della lingua, comprese le differenze di accenti, tonalità e via dicendo. Chi ha questo talento, si dimostrerà più rapido nell’apprendere le lingue con pronuncia e intonazione appropriate. Di qui l’importanza vitale di una valutazione molto precoce della capacità uditiva in ogni neonato.
Spostandoci verso i fattori acquisiti nel tempo, iniziamo parlando dell’ambiente in cui un neonato viene cresciuto: i bambini, infatti, imparano per imitazione, con un vantaggio netto di memorizzazione se l’apprendimento è associato a emozioni positive (amore, attenzione, empatia), e un blocco anche totale se l’ambiente familiare è stato ostico dal punto di vista emotivo. Più si è accurati nel parlare ai bambini, evitando parolacce e insulti inutili, più apprenderanno parole ed espressioni appropriate.
Il dominio del linguaggio richiede allenamento, piacere, ripetizione e divertimento, ma anche imparare ad ascoltarsi, mentre si ripetono informazioni a voce alta. Per ogni bambino, è formidabile avere un adulto che ascolta ciò che dice: in molti casi sembra essere più efficace il papà con la femmina, e la mamma col maschietto. Resta il fatto che quando i genitori riescono a spendersi anche per poco tempo ad ascoltare i propri figli mentre fanno i compiti, i bambini si esprimeranno molto meglio dei coetanei che ripetono da soli e solo mentalmente. Si crea infatti una positività nella mente del piccolo, nel sentire che il proprio genitore spende le proprie energie per compiacere la sua giusta pronuncia o correggere quella sbagliata.
Giungendo ad un’età più matura, i fattori acquisiti fondamentali sono la lettura e l’apprendere a memoria. Questo perché il linguaggio è creato su delle strutture fisse, come la grammatica e la sintassi, e di strutture flessibili, quali l’immensità delle combinazioni costruibili, tanto più ricca quanto maggiore è il numero di vocaboli ed espressioni conosciute.
Purtroppo, l’apprendere “a pappagallo” oggi è particolarmente trascurato nelle scuole dagli stessi insegnanti, poiché identificato come un metodo passato e in disuso. Forse ancora alle scuole materne o alle elementari con le canzoncine di Natale e via dicendo, è ancora salda questa accezione di scuola così antica. La memoria è una funzione del cervello e il linguaggio non esiste senza memoria, più alleniamo linguaggio e memoria, più queste si consolidano; più parole impariamo grazie alla lettura e più ne ripetiamo ad alta voce, più queste si radicano nella nostra mente.
Guardando all’esperienza che accomuna la gioventù odierna, possono esserci dei metodi per rivalutare l’importanza dell’apprendimento a memoria nelle scuole?
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