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Retorica: l'arte del saper parlare

Un tuffo nell'antica arte della retorica
Un tuffo nell'antica arte della retorica

Vi siete mai chiesti come sia possibile la predisposizione di alcune persone nel dimostrare un’estrema facilità nel parlare? O quanto sia semplice rendere un qualsivoglia discorso talmente intrecciato nel suo insieme, tanto da non capire il senso effettivo e primario dello stesso, come quello che è stato appena scritto?


La capacità di esprimersi, di dominare il linguaggio, di essere convincenti ed avvincenti nel parlato, passa tramite degli ingredienti sia acquisiti che innati.

Tra i fattori innati, troviamo come prima argomentazione il genere di appartenenza: le bambine normalmente parlano prima e meglio dei maschi e soffrono meno di dislessia. Queste differenze sono dovute principalmente ad una diversa anatomia cerebrale e ad un diverso effetto degli ormoni nella parte del cervello adibita alla produzione della parola. Troviamo inoltre, tra i fattori innati, il cosiddetto “orecchio musicale”: questo, nella musica, indica la capacità di un musicista di comprendere, unicamente grazie all’udito, la composizione della musica nel suo insieme. Per quanto riguarda i bambini invece, si intende la predisposizione genetica (e non acquisita) a carpire le varie sfaccettature della lingua, comprese le differenze di accenti, tonalità e via dicendo. Chi ha questo talento, si dimostrerà più rapido nell’apprendere le lingue con pronuncia e intonazione appropriate. Di qui l’importanza vitale di una valutazione molto precoce della capacità uditiva in ogni neonato.


Spostandoci verso i fattori acquisiti nel tempo, iniziamo parlando dell’ambiente in cui un neonato viene cresciuto: i bambini, infatti, imparano per imitazione, con un vantaggio netto di memorizzazione se l’apprendimento è associato a emozioni positive (amore, attenzione, empatia), e un blocco anche totale se l’ambiente familiare è stato ostico dal punto di vista emotivo. Più si è accurati nel parlare ai bambini, evitando parolacce e insulti inutili, più apprenderanno parole ed espressioni appropriate.


Il dominio del linguaggio richiede allenamento, piacere, ripetizione e divertimento, ma anche imparare ad ascoltarsi, mentre si ripetono informazioni a voce alta. Per ogni bambino, è formidabile avere un adulto che ascolta ciò che dice: in molti casi sembra essere più efficace il papà con la femmina, e la mamma col maschietto. Resta il fatto che quando i genitori riescono a spendersi anche per poco tempo ad ascoltare i propri figli mentre fanno i compiti, i bambini si esprimeranno molto meglio dei coetanei che ripetono da soli e solo mentalmente. Si crea infatti una positività nella mente del piccolo, nel sentire che il proprio genitore spende le proprie energie per compiacere la sua giusta pronuncia o correggere quella sbagliata.


Giungendo ad un’età più matura, i fattori acquisiti fondamentali sono la lettura e l’apprendere a memoria. Questo perché il linguaggio è creato su delle strutture fisse, come la grammatica e la sintassi, e di strutture flessibili, quali l’immensità delle combinazioni costruibili, tanto più ricca quanto maggiore è il numero di vocaboli ed espressioni conosciute.


Purtroppo, l’apprendere “a pappagallo” oggi è particolarmente trascurato nelle scuole dagli stessi insegnanti, poiché identificato come un metodo passato e in disuso. Forse ancora alle scuole materne o alle elementari con le canzoncine di Natale e via dicendo, è ancora salda questa accezione di scuola così antica. La memoria è una funzione del cervello e il linguaggio non esiste senza memoria, più alleniamo linguaggio e memoria, più queste si consolidano; più parole impariamo grazie alla lettura e più ne ripetiamo ad alta voce, più queste si radicano nella nostra mente.


Guardando all’esperienza che accomuna la gioventù odierna, possono esserci dei metodi per rivalutare l’importanza dell’apprendimento a memoria nelle scuole?

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