Autore: #CamillaDalessandro
L’emergenza sanitaria ha condotto molti verso la riscoperta delle possibilità che il XXI secolo offriva da sempre ad una certa categoria di lavoratori ma che in pochi, nonostante il progresso tecnologico e il diffuso accesso alla rete, avevano realmente considerato. Una per tutte? Lo smart working.
Lo smart working, o “lavoro agile”, disciplinato dalla non così recente legge 81/2017, è un particolare modello di esecuzione della prestazione lavorativa subordinata, che secondo le previsioni porterebbe benefici da ambo le parti protagoniste del rapporto: per il dipendente un’agevolazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; per il datore una maggiore produttività e riduzione dell’assenteismo.
Il lavoro agile si caratterizza dal fatto di non doversi svolgere in un luogo preciso e, salvo diversa disposizione, neppure in specifici orari. Per l’esecuzione del rapporto di lavoro è necessario che l’accordo tra le parti sia scritto, ai fini della regolarità dello stesso, e che stabilisca lo svolgimento dell’attività lavorativa con l’utilizzo di strumenti tecnologici “entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale”. Lo strumento non sembrerebbe complesso nella sua applicazione, ma da un lato, vincoli procedurali e amministrativi, dall’altro una cultura manageriale tradizionalista ne hanno scoraggiato la diffusione.
Almeno fino a poco tempo fa.
Con il dilagare dei contagi da Covid19 e dei rischi per i lavoratori, il Governo ha messo in campo notevoli semplificazioni per il ricorso allo smart working: si è stabilito, per esempio, che ai sensi del DPCM del 4 marzo 2020 (art.1-n) il lavoro agile possa, per questo tempo, essere consentito anche senza la stipulazione di accordi individuali nelle rigide modalità previste dalla normativa vigente.
Nel 2019 si stimava un numero di 570.000 smart workers, con un aumento del 20% rispetto al precedente anno ma non in linea ancora con la media europea del 5.2% dei lavoratori. Viene quindi da chiedersi: quale sarà il destino del lavoro smart alla fine di questa pandemia?
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