
Il 27 maggio 1840 moriva #NiccolòPaganini, le sue mani ed il suo violino hanno incantato migliaia di persone. Ma se in quegli anni la #musica si diffondeva attraverso serate d’élite e concerti privati, oggi il concetto di musica è cambiato radicalmente. Esistono migliaia di piattaforme per ascoltare ogni genere musicale esistente, una fra queste è #Spotify.
Spotify ha rivoluzionato il modo in cui ci approcciamo alla musica. Non siamo più noi che cerchiamo lei ma lei che cerca noi, offrendoci contenuti sempre più vicini al nostro modo di essere. Come fa a raggiungere il suo scopo? Tramite algoritmi di intelligenza artificiale.
L’”intelligenza” di Spotify si basa su tre fattori: il Natural Language Process che analizza i testi delle canzoni, la loro semantica e il loro contesto; la Raw Audio Analyzation che si occupa della parte audio riconoscendo il tipo di suono e lo stato d’animo a cui esso viene associata tale melodia e infine il Collaborative Filtering, funzionalità che identifica dei pattern (ad esempio i brani più ascoltati) e consiglia dei brani in base agli ascolti di utenti che il sistema ha identificato come simili a me. Inoltre, per le etichette discografiche è possibile promuoversi attraverso la funzionalità Artist Input. il brano da loro scelto comparirà tra i brani consigliati degli utenti che l’algoritmo identifica come possibili ascoltatori. Spotify abbassa i costi di Loyalty verso le varie etichette, queste ultime promuovono i loro lavori e infine noi, senza sforzi, ascoltiamo della musica che si adatta perfettamente ai nostri gusti.
Questa armonia viene però messa in discussione. Il combaciare alla perfezione i gusti dell’utente, il cui scopo è quello di allargare le sue conoscenze musicali, porta molto spesso all’effetto contrario, ovvero quello di lasciarsi trasportare dall’#algoritmo alimentando più la pigrizia che la curiosità.
E mentre “Paganini non ripete” noi ci lasciamo cullare dalla nostra amata Repeat Rewind, dagli accuratissimi Daily Mix o, quando abbiamo voglia di qualcosa di nuovo, dalla sempre apprezzata Discover Weekly. Dunque, vi chiedo: siamo davvero noi che decidiamo cosa ci piace?
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