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Unione e frammentazione: la forza dualistica del meme


Cosa hanno in comune i video dei gattini, il governatore della Campania De Luca che minaccia l’uso di un lanciafiamme alle feste di laurea, “Hide the pain Harold”, e varie immagini di Joey, personaggio della serie tv Friends? Sono tutti un meme. Dal greco mímēma, che significa imitazione, il meme, nel mondo digitale, è un contenuto presentato sotto varie forme -foto, video, o anche audio- che replica uno specifico soggetto una molteplicità di volte. In altre parole, è un particolare tormentone che riproduce un tema o contenuto, ma che allo stesso tempo lo smonta, rimonta e giustappone a diversi altri elementi, facendolo poi diventare popolare -o meglio, virale. Ciò che ne risulta è un prodotto alquanto denso e concentrato di significato, che va come decifrato per capirne il senso -il più delle volte umoristico.


Se da una parte questo prodotto culturale, più di ogni altro, ha la capacità di unire le persone e creare un senso di coesione nel mondo dei social e del web, ma anche al di fuori di essi; dall’altra, divide, frammenta e allontana gli utenti. Ma cosa sta dietro questo dualismo del meme?


Il meme, per il contesto in cui viene diffuso – internet – deve essere necessariamente immediato e veloce. Questo comporta una costruzione molto allusiva, non esplicita. Anzi, il non detto, il sottinteso è una componente fondamentale. Il riferimento su cui si basa, difatti, gioca molto su una conoscenza di base che l’audience deve avere, e anche condividere, per poter poi comprenderlo e interpretarlo. Quello che viene visto e ascoltato come prodotto finale non è altro che la punta dell’iceberg, la parte più superficiale di un intero background di informazioni che racchiude.


Vivendo noi oggi in una società molto complessa e frammentata dal punto di vista di formazione personale, conoscenze di base, comportamenti e aspettative, come dice il sociologo Jeffrey Alexander, tutto questo comporta che la ricezione di un meme può portare a una miriade di reazioni diverse. Il medesimo meme, quindi, può essere visto, filtrato e interpretato in un numero quasi incalcolabile di modi, perché la popolazione non è uniforme. Da una parte ci sarà chi intuisce e vede al di là della superficie; da un’altra chi avrà grossa difficoltà ad afferrarne anche l’evidenza. Da una parte ci sarà chi ride; da un’altra chi non verrà minimamente mosso emotivamente. Da una parte ci sarà chi si sente parte di una comunità; da un’altra chi si sentirà escluso da essa.



Riporto questa citazione. “È lui o non è lui?”. Una frase fuori contesto apparentemente, ma in realtà non lo è. Infatti, è un meme. Coloro che hanno tra i propri riferimenti culturali più prominenti la televisione di metà anni 2000, Striscia La Notizia ed Ezio Greggio, dovrebbero aver concluso la formula in modo piuttosto automatico, con un fragoroso – mentale, spero - “Ceeeeerto che è lui!”. Eppure, per tanti che si sono sentiti coinvolti in questo giochino, come fossero parte di un gruppo, molti altri potrebbero non aver colto lo spunto, rimanendo neutri – se non freddi – di fronte a questo tormentone. Non condividendo lo stesso interesse verso il tipo di contenuto, o anche non conoscendolo, se ne sono sentiti in qualche modo esclusi, non coinvolti. Probabilmente, avrebbero riso e reagito a un altro tipo di meme, con un altro soggetto.


A partire da quest’ultimo punto, allargando la visione e generalizzando oltre il caso, quello che si innesca con la diffusione del meme è un vero e proprio meccanismo di specializzazione sia a livello di produzione, sia a livello di ricezione. Nel primo caso, prendendo specifici temi e soggetti -attualità, politica, sport, televisione, storia, per citarne alcuni, o anzi pochissimi- si creano dei contenuti, mainstream o di nicchia che siano, orientati e mirati verso un pubblico che possa riuscire a comprenderli. Il pubblico stesso, che comunque è un agente attivo in questa macchina, va alla ricerca di una categoria di meme che lo faccia ridere, che rispetti le aspettative, e che tratti argomenti di cui sappia qualcosa -almeno le basi. Ciò che avviene, quindi, è un’alta differenziazione, dove produttore e fruitore si orientano, cercano e incontrano mutualmente, creando così gruppi e comunità allineati su uno stesso livello di significati e valori culturali, escludendo tutto quello che non rientra nel loro campo. L’altissimo numero di pagine, gruppi, e comunità presenti sui social media che producono, diffondono e raccolgono i più disparati tipi di meme, per forma e contenuto, sono l’indicatore di come questo processo sia ormai diffuso e, addirittura, continui a espandersi sempre di più, creando una rete sempre più stratificata e complessa.



Quindi, in conclusione, è possibile dire che il meme unisce, creando comunità di persone che si avvicinano e legano tra sé perché uniti da medesimi riferimenti e interessi. Tuttavia, il meme divide, frammentando sempre di più il mondo del web in molteplici e, anche complessi, gruppi di pubblico. Dipende tutto da chi siamo, cosa conosciamo e da che parte siamo.

E tu, ti sei mai sentito incluso oppure escluso, di fronte a un meme? Avevi mai pensato a tutto questo?



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2 comentários


Michele Giancaspro
Michele Giancaspro
22 de jun. de 2020

Grazie mille per il commento più che positivo!

Curtir

Giovanna de Vincenzo
Giovanna de Vincenzo
21 de jun. de 2020

Non avevo mai pensato all'aspetto sociale dei #meme e che il loro successo è legato a fattori più sottili quali la critica, la persuasione, la moda o la pressione del gruppo. Bell'articolo, complimenti!

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