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Vip al Museo, strategie di marketing o utilizzo errato di un luogo pubblico?



Lo shooting di Vogue che ha visto Chiara Ferragni posare tra le sale degli Uffizi, durante l’orario di chiusura, ha innescato una serie di reazioni nell’opinione pubblica, che si è subito divisa in due schieramenti opposti: chi elogia il ritorno d’immagine, che si traduce in aumento della vendita di biglietti, dell’uso esclusivo di musei e altri siti del nostro patrimonio da parte di vip, influencers e cantanti, e chi ha visto nella scelta di rendere gli Uffizi un prezioso set fotografico un’ennesimo atto di mercificazione e un uso improprio ed escludente di un museo pubblico. La prima tesi è sostenuta da chi vi vede un modo per vivificare e attualizzare un luogo sentito come scollato dal presente, mentre la seconda è sostenuta da molti addetti ai lavori che non condannano tanto l’influencer quanto il fatto che gli Uffizi usino la popolarità di Chiara Ferragni come una vetrina per farsi pubblicità, oltre che promuovere un’idea di arte superficiale, non in termini di leggerezza e accessibilità, quanto di estetica svuotata di contenuti.


Il direttore Eike Schimdt, non nuovo a trovate social rivolte specialmente ad attirare il pubblico più giovane – sotto la sua guida gli Uffizi sono sbarcati su Tik Tok - si è ritenuto soddisfatto dell’incremento di visitatori, riconoscendo pubblicamente il merito alla visita della Ferragni. I dati, riportati dal quotidiano La Stampa, segnalano un aumento di ingressi del 24% rispetto al weekend precedente per un totale di 9312 unità, di cui circa 3600 under 25. Rimane sempre da vedere però quanti tra questi sono realmente followers del profilo di Chiara Ferragni e si sono dunque recati al museo fiorentino grazie all’azione social dell’influencer.


Ma la questione che ha sollevato le riserve degli storici dell’arte e degli addetti ai lavori riguarda in prima battuta il post della pagina Instagram del museo, nel quale si tracciava un parallelo tra la bellezza diafana della Simonetta Vespucci, la modella che posa per la Nascita di Venere di Sandro Botticelli, e quella di Chiara Ferragni, promuovendo dunque un’univoco e universale ideale estetico, senza tempo. Una rilettura della Venere che molti storici dell’arte hanno trovato pericolosa e poco profonda, una superficalità di analisi indegna per un luogo di ricerca come gli Uffizi.


Inoltre, si è registrato nuovamente l’ennesimo atto di privatizzazione di un luogo pubblico, annosa questione che riguarda tutti i luoghi di cultura del nostro tempo (sempre agli Uffizi, nel 2012, Madonna si concesse il lusso di visitare il museo con tanto di passeggiata nel Corridoio Vasariano, affitandolo in esclusiva). Il Codice dei Beni Culturali non prevede un utilizzo incompatibile con il fine storico e artistico di un luogo di cultura, ma lascia libertà ai direttori di poter concedere deroghe eventuali.


Infine, ci si è chiesti chi stesse approfittando di chi: è Chiara Ferragni che approfitta di un set suggestivo e unico come gli Uffizi per fini propri, o sono gli Uffizi che, per mire commerciali e necessità di marketing, sfruttano la popolarità di Chiara Ferragni? Molti storici dell’arte propendono per questa seconda ipotesi, ritenendo superfluo e dannoso veicolare messaggi e giudizi critici (come il breve discorso sul canone di bellezza rinascimentale e moderno che abbiamo riportato sopra) attraverso personalità che agiscono in maniera massiva nei social network, spesso banalizzando contenuti che meriteribbero approfondimenti e studi ulteriori.


La questione è più che mai aperta e le voci che si alzano sono perdipiù discordanti. Secondo voi è benefico, in termini di “ritorno d’Immagine”, un uso privatizzato, estraniante ed esclusivo di un museo pubblico o, al contrario, ne danneggia l’immagine e ne scredita il valore di luogo di ricerca e formazione dell’individuo?




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