Autore: #MartinaLeandri
Il tumore del polmone è uno dei big killer nel mondo oncologico: in media la percentuale di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è del solo 10%. A fronte, quindi, di 45.000 diagnosi circa fatte nell’anno 2019, vi sono stati parallelamente quasi 35.000 decessi. L'Iss - Istituto superiore della sanità – con un’indagine del 2019 indica che nel Bel Paese 11,6 milioni di persone fuma sigarette tradizionali, un dato che, al di là di piccole oscillazioni, registra gli stessi valori dell'ultimo decennio.
La storia dei pazienti è spesso ripetuta e comune e corrisponde nell’85-90% dei casi a un’abitudine al fumo di sigaretta, il perfetto cancerogeno che sia mai stato inventato, contenente tutti i best seller chimici, fisici e derivanti dalla combustione.
L’organizzazione mondiale della sanità stima che il tabagismo sia la causa diretta e indiretta di 7 milioni di morti l’anno. La spesa sanitaria pubblica annuale dell'Unione Europea per il trattamento delle principali categorie di malattie legate al fumo è stimata intorno a 25,3 miliardi di euro, mentre è stimata in ulteriori non indifferenti 8,3 miliardi di euro all'anno la perdita in termini di produttività (inclusi prepensionamenti/morti e assenteismo dal lavoro) legata al fumo.
Ma perché il fumo di tabacco riesce ad avere un effetto così pervasivo? Cosa accade al nostro cervello già alla prima boccata? Nel giro di 7-10 secondi la nicotina, attraverso i polmoni, passa nel circolo sanguigno e da qui al cervello dove si lega a specifici recettori che a loro volta rilasciano alcuni neurotrasmettitori tra i quali la dopamina, che dà un senso di piacere. Proprio questa stretta contiguità temporale, di pochi secondi dall’inalazione di fumo (causa) e senso di piacere dato dal rilascio della dopamina (effetto) crea una forte associazione fra le due situazioni istaurando un comportamento ripetitivo, continuamente rafforzato dall’esperienza.
Vizio o epidemia?
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