Immaginate di essere un’azienda stanziata in un paese anglofono e di avere a che fare per la prima volta con una seconda azienda non anglofona: quale lingua scegliereste per la trattativa? Se avete risposto “inglese” vi consiglio di ripensarci.
Si dà ormai per assodato che nell’ambito del commercio internazionale la lingua inglese la faccia da padrone e che oggigiorno la conoscenza di questa lingua sia un requisito minimo in ambito lavorativo. Ma osservando meglio, l’uso dell’inglese è realmente un vantaggio? È indubbiamente accessibile e user-friendly, ma per situazioni delicate di trattative commerciali potrebbe non essere la miglior scelta.
Ora, in questa particolare situazione è fondamentale essere comprensibili e guadagnarsi la fiducia della controparte. Credete che avrete più successo conducendo la trattativa nella lingua nativa dei nostri interlocutori o in una lingua altra a loro comprensibile? Se avete risposto “lingua nativa” siete sulla buona strada.
Questo perché? Ricorrere alla lingua nativa dei nostri interlocutori dimostra un interesse verso la loro cultura, mettendo le basi per una relazione commerciale longeva. Inoltre, darà la sensazione di essere pienamente consapevoli delle tematiche discusse e in controllo della conversazione, non lasciando spazio a dubbi e fraintendimenti.
Ma cosa fare se nessuno nella nostra azienda è in grado di parlare in quella determinata lingua? In questo caso ricorrere a uno specialista può decidere le sorti dell’accordo. Un interprete, oltre a trasmettere il messaggio in maniera accurata e fedele, potrà indirizzarvi sull’etichetta comportamentale da seguire, la quale - in casi di culture completamente divergenti - è fondamentale per la riuscita della trattativa.
“Se parli con un uomo in una lingua a lui comprensibile, arriverai alla sua testa. Se gli parli nella sua lingua, arriverai al suo cuore.”
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