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La giornata dello sport per lo sviluppo e per la pace


Il ruolo dello sport nella promozione dei diritti umanitari
Il ruolo dello sport nella promozione dei diritti umanitari

Proclamata il 23 agosto 2013, la Giornata dello Sport per lo Sviluppo e la Pace ricorre annualmente il 6 aprile. La data non è un caso, ma è stata scelta in onore dei primi giochi olimpici dell’era modena. I Giochi della I Olimpiade dell’era moderna vengono infatti inaugurati il 6 aprile 1896. Sin dalle sue origini la Giornata dello sport si festeggia per onorare l’attività fisica non solo come elemento importante per il benessere fisico, ma soprattutto come fattore di coesione sociale. Numerose sono le iniziative in ambito internazionale che attraverso le sport promuovono concetti di pace, tolleranza e comprensione reciproca, sfidando poverta’, violenza e disguaglianze sociali.


Per approfondire questo affascinante ed importante argomento, ho deciso di scambiare due parole con Alessio Norrito. Oltre ad essere il consulente web per Passaporto Futuro, Alessio è stato mio compagno di studi ad Edimburgo, dove abbiamo avuto modo di studiare proprio il tema dello sport per la pace e lo sviluppo internazionale. Alessio è rimasto molto colpito dall’importanza dell’argomento e ha deciso di intraprendere un dottorato in Sports for Peace and Development alla Loughbrough University, in Inghilterra. Per questo motivo ho deciso di rivolgergli qualche domanda, cercando di approfondire l’argomento e capire quali possano essere le future iniziative intraprese in questo ambito.


D: Caro Alessio, innanzitutto ti ringrazio per essere qui con noi. Tu hai investito gran parte del tuo percorso universitario studiando l’argomento dello sport per lo sviluppo e per la pace. Ci puoi spiegare un pò piú nel dettaglio di cosa si tratta?


R: Certamente! Si tratta di tutte quelle iniziative che utilizzano lo sport come mezzo per raggiungere determinati obiettivi di sviluppo sociale, e talvolta di sviluppo economico. Si tratta dell’uso intenzionale della pratica sportiva per avere dei risvolti benefici nei partecipanti. Generalmente si collega agli obiettivi d sviluppo mondiale emanati dalle Nazioni Unite, i Millennium Development Goals 2000-2015 e i Sustainable Development Goals 2015-2030. Per dare un esempio pratico, si puo’ parlare di una scuola calcio operante in un quartiere ai margini di una citta’, con l’obiettivo di fornire una pratica sportiva formativa, che vada oltre lo sport stesso. Come una partita di calcio possa insegnarci a relazionarci con gli altri, come andare su uno skate possa darci la giusta carica di autostima, come il parkour possa aiutare a riprendere in mano dei territori spezzati dalle bombe di un esercito.


D: Che cosa ti ha portato a dedicartici con tanta passione?


R: Io credo che lo sport meriti una possibilita’. Purtroppo la pratica sportiva non sempre viene vista di buon occhio, e in alcuni paesi del mondo sembra che intraprendere uno sport significhi percorrere una strada dritta ed unica. Le mie ricerche e i miei studi provano la complementarita’ dello sport nel nostro vivere quotidiano. Se devo ricollegarmi ad un evento, mi ricordo di aver deciso di intraprendere questa strada grazie ad un mio professore ad Edimburgo, che mi ha spinto a considerare l’impatto sociale del nuovo stadio di calcio di Lampedusa, il “The Bridge”. Sorto sopra il vecchio stadio in terra battuta, dove venivano abbandonate le barche peschereccio con cui arrivavano i migranti dalla Libia. La riappropriazione di uno spazio precedentemente conosciuto come “il cimitero delle barche”. Ho sempre pensato che lo sport possa avere una forza immensa nel nostro strato sociale, siamo naturalmente portati all’attivita’ fisica come mezzo di interazione. Ed e’ qualcosa con cui convivremo sempre. Finira’ prima il petrolio dello sport.


D: Ci puoi parlare delle principali iniziative che cercano di promuovere sviluppo e cooperazione per sostenere le realtá piu sfortunate?


R: Ce ne sono veramente tante, e spesso si tratta di realta’ molto piccole che contano sull’aiuto di fondi esterni e volontari per sviluppare i loro programmi sportivi. Bisogna anche specificare che il concetto di Sport per lo sviluppo e’ di forte stampo anglofono (Sport for Development and Peace) e molte realta’ classificabili sotto questo ombrello, spesso non si identificano come appartenenti a questo ramo. Mi piacerebbe pero’ dare qualche consiglio a chi legge e vuole informarsi di piu’ su queste realta’. Sportanddev.org e’ il sito di riferimento, dove ci si puo’ informare su molte pratiche sportive per il sociale. Ugualmente, se volete conoscere il fenomeno dal punto di vista universitario, vi consiglio di dare un’occhiata al Journal of Sport for Development, la rivista accademica per eccellenza del campo. L’accesso alle ricerche e’ completamente gratuito.


D: Domanda schietta. Secondo te si sta facendo abbastanza in merito?


R: Credo si possa fare sempre di meglio, ma non mi sento di dire che non si stia facendo abbastanza in termini di sforzo. La qualita’ pero’ deve essere al centro di questi programmi. Quello che spesso lamento e’ che non si da abbastanza risalto alle attivita’ sportive per il sociale.


D: Quali sono, secondo te, le ragioni?


R: Io credo che ogni programma debba nascere con un preciso obiettivo, e di conseguenza debba mettere in pratica l’attivita’ sportiva avendo quel target sempre in mente. Se l’obiettivo e’ quello di insegnare l’italiano attraverso lo sport, bisogna essere sicuri che le comunicazioni in quello sport siano frequenti e che la componente del gioco di squadra sia fortemente inclusa. Io credo che non sempre i programmi vengano disegnati con questo scopo. Spesso ci si ferma alla pratica sportiva stessa, che porta assolutamente diversi benefici, ma probabilmente non indirizzati ad uno specifico risvolto sociale.

Un altro punto molto importante sta nella comunicazione. Spesso gli argomenti sportivi sfociano sempre nel professionismo, dando risalto a giocatori o sportivi pagati per intrattenere le masse e riempire i palinsesti televisivi. Questo ritengo sia bellissimo, quando la tua routine pandemica viene interrotta da una bella partita di Serie A o Champions League, si ha un risvolto enorme per la propria salute mentale. Tuttavia sarebbe bellissimo poter dare risalto alla gioia che queste iniziative portano. Chissa’ passare in televisione la coppa del mondo dei senzatetto (Homeless World Cup). Forse si creerebbero dei modelli e delle percezioni diverse sullo sport. Credo che il calciatore strapagato non rappresenti il modello di sportivo che piu’ si adatta al valore dell’attivita’ fisica. Un tempo i calciatori finivano la partita e tornavano in miniera, gustandosi la vittoria in maniera diversa.


D: Sai, ho maturato l’idea che si tenda a sottovalutare la questione considerando queste problematiche una prerogativa di Paesi sottosviluppati. Lo si percepisce come un problema che esiste, ma in lontananza, quando invece molto spesso riguarda anche i Paesi piu sviluppati. Condividi questo pensiero, oppure sono fuori strada?


R: Condivido pienamente, e anzi ti dico che paradossalmente l’attenzione dello sport per lo sviluppo e’ orientata sui paesi del Global North. Molti programmi sono presenti in paesi sottosviluppati, eppure molte ricerche scientifiche avvengono in paesi come Australia, Canada e Regno Unito. Questo e’ soprattutto vero nel mio campo specifico, quello dei rifugiati e dei migranti. Io credo che nel rispondere a questa domanda si vada oltre lo sport stesso, si debba parlare di un mondo in competizione contrapposto ai principi di cooperazione. Per fare un esempio molto attuale, pensiamo all’importanza di vaccinare il continente africano contro il Covid. Oppure, tornando ai migranti, quanto e’ importante lo sviluppo dei paesi dove sono presenti guerre e dove le popolazioni sono costrette a scappare. Sarebbe veramente bello se lo sport avesse un ruolo in questo, dove le persone possano andare in giro per libero arbitrio, e lasciare il proprio paese (se vogliono) con un comodo aereoplano per cercare fortuna, cosi’ come abbiamo fatto tanti noi italiani. Spesso ci dimentichiamo della sottilissima linea che ci distingue tra noi migranti e loro rifugiati. Noi partiamo per cercare un futuro migliore, ma a casa nostra non ci bombarda nessuno. E alle frontiere (spesso) non ci blocca nessuno.


D: Tu, e come te tantissimi altri, state investendo tempo, energie e passione studiando l’argomento, cercando di capire come migliorare una situazione complicata. Secondo te si è raggiunto un buon punto in merito alle iniziative intraprese nel settore?

R: Si puo’ sempre fare di meglio, ma questo non vuole togliere l’importanza dei traguardi sportivi e non che si sono raggiunti attraverso queste affascinanti pratiche. E’ ad esempio fantastico come il calcio femminile in Italia abbia finalmente aperto al professionismo, e si stia piano piano muovendo verso il riconoscimento vero e proprio della calciatrice come professione. Una barriera di diseguaglianza fondamentale da abbattere.


D: In che modo si potrebbe fare di piu?


R: Io credo che la chiave stia nella popolarizzazione della pratica, nella comunicazione e nel coinvolgimento della societa’ in generale. E’ giustissima la domanda che fai, chiedendo se spesso percepiamo questi avvenimenti come distanti. Ma non lo sono per niente, e farsi coinvolgere e’ essenziale. Spero che l’interesse verso il settore aumenti con il tempo, che sempre piu’ persone possano avere il tempo e la voglia per partecipare. Anche perche’, e credo fortemente in questo, lo sviluppo sociale e’ fonte di lavoro, e credo che molti posti di lavoro nel settore sportivo-educativo possano essere creati attraverso dei programmi sempre piu’ belli, complessi e coinvolgenti.


D: Alla luce di queste considerazioni, che futuro vedi per il settore dello sport per lo sviluppo e la cooperazione internazionale?


R: Vedo tanta motivazione e tanta necessita’. Credo che ci aspetti un futuro bellissimo nel campo sportivo, dove le vittorie in campo, le prestazioni e tutto il resto saranno collegate a dei trofei piu’ grandi. Al benessere generale, all’inclusivita’, allo sviluppo economico e sociale. E tutto grazie ai nostri corpi e a qualche palla se serve. O magari una bici ed uno skate. Si’, sono molto molto positivo a riguardo, e affronto ogni giornata a lavoro con questo entusiasmo. Col passare degli anni, spero proprio ne vedremo delle belle.


D: Alessio, io ti ringrazio moltissimo per questa piacevole chiaccherata. Penso che tu abbia fornito un interessante spunto di riflessione. Hai qualche consiglio o raccomandazione per i lettori che volessero informarsi ulteriormente sull’argomento?


R: Oltre i siti web che ho gia menzionato, invito sempre a vedere quello che abbiamo intorno con altri occhi. Il parco giochi vicino casa, quel campetto in asfalto semi abbandonato, l’ora di educazione fisica di una scuola. C’e’ sempre tanto dietro queste semplici testimonianze di sport nella citta’. Se avete l’opportunita’, fatevi coinvolgere. Credo che non ci sia modo migliore della pratica per testare la vera capacita’ di sviluppo dello sport. E se non siete il tipo sportivo ma che ha comunque piacere nel guardare una bella partita o una competizione, scegliete di seguire la vostra squadra locale e lasciatevi immergere dalle emozioni che vi porta. Anche quello e’ scoprire il valore emotivo dello sport in ciascuno di noi.


Da questa conversazione con Alessio emerge chiaramente l’importanza del ruolo che lo sport può avere per le realtà piu sfortunate. Io per primo pur avendo studiato l’argomento tendo a dimenticarmene. La triste veritá è che nei Paesi in cui lo sport si è sviluppato ed è cresciuto fino a diventare una vera e propria industria l’attenzione è rivolta al profitto, al successo sul campo e, conseguentemente, sul mercato. Lo sport è diventato business, una macchina da soldi e, come risaputo, spesso dove c’è denaro c’è anche corruzione. E putroppo quella corruzione è in primis nell’animo. Semplicemente non ci si sofferma a riflettere sulle potenzialità dello sport come opportunitá per le realtá piú sfortunate.


Lo sport rimane frequentemente ai margini del pensiero comune, viene considerato non essenziale, viene guardato con sufficienza, mentre in alcuni contesti ci sono bambini che non hanno nemmeno i soldi per comprarsi un pallone. Nonostante sia stato precedentemente riconosciuto come un diritto dell’uomo, troppo spesso lo sport viene considerato un prodotto dello sviluppo e non un suo produttore. È ora di cambiare mentalitá, dare allo sport la giusta considerazione. E soprattutto non dimenticare che lo sport è del popolo e al popolo deve ritornare.

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