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Il futuro nella diagnosi del cancro al seno



1 donna su 10 in Italia rischia di sviluppare il tumore della mammella nel corso della sua vita. È il tumore più frequente nel sesso femminile in Italia e nel mondo (in quest’ultimo caso, insieme a quello del polmone) ed i numeri sono in aumento, ma la buona notizia è che la mortalità si riduce, grazie al continuo miglioramento delle tecniche di screening, diagnosi e terapia. Tutte le fasce d’età possono essere colpite, con un picco tra i 45-50 ed i 60-65 anni.

Una malattia multifattoriale


Il 5-10% dei tumori al seno è legato a fattori genetici. Le mutazioni più frequenti sono a carico di due geni, BRCA1 e BRCA2, che codificano per delle proteine riparatrici, le quali si occupano di riparare gli errori nel DNA che possono verificarsi durante i normali processi replicativi. La presenza di queste proteine permette di correggere gli errori ed evitare la nascita di cellule ‘difettose’, che sono possibili precursori di un tumore. Nelle donne portatrici della mutazione questa capacità viene persa, comportando un rischio del 60% di sviluppare il cancro al seno, e un rischio aumentato dal 15 al 50% rispetto alla popolazione generale di sviluppare un cancro delle ovaie.

Si parla oggi della ‘mutazione Jolie’, la famosa attrice Angelina Jolie ha infatti ereditato i geni mutati. Nella sua famiglia, la mamma, la nonna e la zia sono morte precocemente a causa di un tumore al seno o all’ovaio. L’attrice ha per questo deciso, in accordo con i medici, di sottoporsi nel 2013 e nel 2015 ad una mastectomia ed una ovariectomia profilattica bilaterale suscitando peraltro un acceso dibattito in tutto il mondo.


Per sapere se si è portatrici della mutazione basta un semplice campione di sangue, dal quale si estrae il DNA che viene poi sottoposto a test genetico. Considerata la bassa incidenza della mutazione nella popolazione, non è necessario introdurre questo strumento nel test di screening per tutte le donne, esso viene invece riservato a coloro che hanno una familiarità per il tumore.


Tra i fattori di rischio ambientali il ruolo più importante è svolto dagli ormoni, in particolare gli estrogeni. Gli estrogeni sono i più importanti ormoni sessuali femminili e vengono sintetizzati principalmente a livello di ovaie e placenta. Favoriscono lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari femminili, come il seno e l’allargamento del bacino. Regolano anche la proliferazione dell’endometrio - il rivestimento interno dell’utero - e le diverse fasi del ciclo mestruale. Il più importante tra gli estrogeni è l’estradiolo. Viene prodotto dalle ovaie ed è presente in concentrazioni elevate nel sangue durante tutta la vita fertile di una donna, dalla pubertà sino alla menopausa, mentre si riduce durante la gravidanza e l’allattamento.


Per questo motivo, la lunga durata dell’età fertile, il menarca precoce, la menopausa tardiva, la nulliparità, la prima gravidanza dopo i 30 anni e il non allattamento sono tutti fattori di rischio, in quanto correlati con una maggiore esposizione agli estrogeni. È stato dimostrato che ogni anno di allattamento al seno riduce del 4,3% il rischio di sviluppare il cancro. Una dieta equilibrata, ricca di alimenti vegetali e povera di proteine animali e l’attività fisica sono state ugualmente associate alla riduzione dell’incidenza.


Prevenire è meglio che curare!


La prevenzione è un salvavita, e comincia a casa! Tutte le donne dovrebbero conoscere ed effettuare regolarmente l’autopalpazione. Questa da sola NON basta, però aiuta nella diagnosi precoce.

Dovrebbe essere fatta, a partire dai 20 anni di età, mensilmente. Il periodo migliore è una settimana dopo la fine del ciclo mestruale. In questa fase il seno è meno turgido, e questo permette di cogliere meglio la presenza di eventuali noduli. Il primo momento prevede l’osservazione delle due mammelle davanti allo specchio, con le braccia lungo i fianchi, con le braccia alzate, e in seguito a contrazione dei muscoli pettorali. Questi tre passaggi permettono di mettere in evidenza eventuali alterazioni della ghiandola, noduli, una retrazione del capezzolo o della cute. Successivamente si procede con l’autopalpazione vera e propria, in senso orario, con le quattro dita tese e la mano a piatto, assicurandosi di indagare tutti i quadranti e anche la zona tra il seno e l’ascella. In ultimo, è importante stringere delicatamente i capezzoli per valutare una possibile fuoriuscita di liquido.


Se dividiamo la mammella in quattro quadranti, considerando due linee tra loro perpendicolari e passanti per il capezzolo, la sede più colpita è il quadrante superiore esterno, seguito dalla porzione centrale retro-areolare e dal quadrante superiore interno.


Lo screening mammografico per la diagnosi precoce del cancro al seno è gratuito e fortemente raccomandato in Italia per tutte le donne tra i 50 ed i 69 anni, asintomatiche, con cadenza biennale. Uno studio pubblicato sul Journal of Medicine nel 2012 ha dimostrato che la mortalità si riduce del 25% nelle donne che si sottopongono regolarmente allo screening. Per ogni 1000 donne che a partire dalla fascia d’età a rischio e sino ai 79 anni vengono controllate ogni due anni, si riescono a salvare 7-9 vite. Le donne con anamnesi familiare positiva per il tumore o portatrici della mutazione genetica verranno, invece, sottoposte a controlli precoci e più frequenti.



Tomosintesi digitale della mammella

Il futuro della diagnosi ha un nome: Tomosintesi. È un’indagine radiografica che sfrutta l’esposizione multipla a basse dosi di raggi X, indirizzati sulla mammella a diverse angolazioni. Le immagini acquisite sono inviate ad un computer che ricostruisce in 3D le due mammelle. È una metodica più sensibile rispetto alla mammografia classica che permette solo una visione bidimensionale. Riesce a cogliere meglio tumori piccoli, soprattutto in seni più densi, tipici delle donne giovani. L’esame è anche meno doloroso, perché è necessaria una compressione minore.


La Food and Drug Administration americana ha approvato per la prima volta nel 2016 l’utilizzo del Mammomat Inspiration, prodotto dall’azienda tedesca Siemens, come unico strumento di tomosintesi digitale che, da solo, possa essere utilizzato per la diagnosi e lo screening del cancro al seno. I precedenti sistemi mammografici 3D presenti sul mercato necessitavano, al contrario, dell’integrazione di informazioni ottenute con entrambi gli esami, bidimensionale e tridimensionale.


Ancora è presto perché in Italia la tomosintesi venga impiegata ufficialmente come test di screening insieme alla mammografia, come avviene invece negli Stati Uniti. Dal momento che i fondi sono forniti dal governo, è necessario raccogliere dati che documentino una reale riduzione della mortalità nelle pazienti controllate tramite questa metodica, e per far questo occorre aspettare ancora qualche anno. Un altro elemento da considerare è il maggiore tempo di lettura richiesto da questa indagine, che comporterebbe la possibilità di effettuare meno visite in un giorno, dunque liste d’attesa più lunghe e rischio di intervenire quando ormai è troppo tardi. Non meno importante, al momento non tutti i centri italiani sono dotati del dispositivo.


Attualmente la tomosintesi è impiegata come seconda scelta, per aiutare a far luce sui casi dubbi.



E se bastasse un prelievo?

Un’ulteriore possibilità di screening per il futuro sembrerebbe derivare da un semplice campione di sangue.


Uno studio effettuato nel 2019 dall’Università di Nottingham, in Inghilterra, ha rilevato nel sangue delle pazienti con cancro al seno la presenza di cellule del nostro sistema immunitario che sono dirette nei confronti di sostanze prodotte dal tumore.


Queste sostanze, che prendono il nome di antigeni, vengono riconosciute come estranee dal nostro organismo, che produce anticorpi contro di esse, con lo scopo di neutralizzarle. I ricercatori hanno sviluppato un pannello di antigeni che sono noti essere associati al cancro al seno. Con un semplice prelievo del sangue, è possibile verificare se la paziente presenta gli anticorpi diretti per queste sostanze, e predire il suo rischio di sviluppare il tumore, sino a 5 anni prima dalla manifestazione dei sintomi dello stesso.


La ricerca è solo agli inizi e deve ora essere dimostrata su un campione maggiore di persone, ma i risultati sono incoraggianti. Se il test verrà validato e associato alla diagnostica radiologica attuale, il vantaggio economico sarebbe notevole, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Una semplice analisi del sangue è infatti poco costosa e non richiede macchinari specifici.


E tu conoscevi i vantaggi della tomosintesi? Pensi che, in un prossimo futuro, si potrà diagnosticare precocemente il cancro tramite un semplice prelievo? Fammi sapere cosa ne pensi!






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