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Italiani segregati in casa e mafiosi fuori dal carcere: la strumentalizzazione politica del caso.



Il mio professore di diritto penale alla sua prima lezione disse una frase che ricordo con chiarezza: “il giurista deve ragionare con la testa e non con la pancia”; in altre parole, il giurista in generale, ma specialmente il penalista, deve essere in grado di approcciarsi in maniera estremamente razionale a situazioni in cui l’istinto suggerirebbe reazioni di natura del tutto diversa. Suggeriva altresì di evitare di essere inquinati da programmi televisivi che, al solo scopo di fare audience e spesso senza alcuna competenza in materia, affrontano alcune tematiche connesse a casi concreti parlando direttamente “alla pancia” dello spettatore, in quanto noi, giuristi del domani, dovevamo essere già abituati a “pensare il diritto penale” in maniera differente. Ebbene, pensando a queste parole che ho udito in un’aula universitaria pochi anni fa, sono sempre più convinta della loro esattezza e soprattutto di quanto dovrebbero essere tenute a mente da parte degli addetti ai lavori (attuali o futuri); ciò in primis per garantire loro di essere in grado di affrontare e poi risolvere al meglio i casi concreti che si trovano o si troveranno dinnanzi, in secundis per riuscire ad orientarsi, con raziocinio e consapevolezza, nella fitta selva di notizie in merito, delle quali giornali e programmi tv ci sommergono quotidianamente, per riuscire a distinguere quali tra esse sono degne di credibilità perché basate su dati tecnici certi e verificabili e quali, invece, sono da considerarsi fake news che hanno scopi ben lontani dall’informazione pubblica.


“Parlare alla pancia” della gente è, potremmo dire, lo strumento per eccellenza di cui alcuni politici si sono serviti per accrescere il loro consenso politico, facendo leva sui problemi dei cittadini italiani e cercando, di volta in volta, per ciascun problema, di trovare un capro espiatorio diverso. Nemmeno in questo periodo di emergenza sanitaria nazionale, causata dal contagio da Covid 19, alcuni hanno evitato di far ricorso allo strumento di cui sopra e ciò è possibile notarlo sfogliando un qualsiasi giornale o guardando un qualsiasi programma in tv.


Negli ultimi giorni Matteo Salvini pare abbia strumentalizzato il caso sollevato sia dal settimanale “L’Espresso” che dal quotidiano “Il Fatto Quotidiano” riguardante la scarcerazione, o meglio, la concessione degli arresti domiciliari al capomafia di Palermo Francesco Bonura.


Il leader della Lega, ospite del programma condotto da Mario Giordano “Fuori Dal Coro” lo scorso 21 aprile, commentando le misure del governo utilizzate per contenere l’emergenza, ha accusato l’esecutivo di utilizzare la scusante del contagio per segregare gli italiani in casa ma scarcerare delinquenti della peggior specie come Bonura, capomafia sottoposto al 41-bis, attraverso il D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 meglio conosciuto come “Decreto Cura Italia”. Tali affermazioni contengono una serie di imprecisioni tecniche oltre che fattuali.


Tanto per iniziare, come tra l’altro ha ribadito tramite un post su Instagram anche il ministro della giustizia Alfonso Bonafede, la decisione di concedere o meno un cosiddetto beneficio penitenziario, in questo caso gli arresti domiciliari, non spetta al potere esecutivo (e quindi al governo) ma spetta ai giudici nella piena autonomia dei loro poteri. Il governo al più si limita ad attivare tutti gli accertamenti e le verifiche del caso nel pieno rispetto dell’autonomia della magistratura.



La notizia che ha fatto tanto indignare una certa parte politica è la seguente: il magistrato di sorveglianza ha concesso a Francesco Bonura (colonnello di Provenzano, boss mafioso palermitano di 78 anni, detenuto in regime 41-bis nel carcere di Opera), gli arresti domiciliari da scontare nella sua abitazione palermitana. Bonura era stato condannato per associazione mafiosa ed estorsione nel 2012 a 18 anni e 8 mesi di carcere in regime 41-bis, ma il 21 aprile 2020 il giudice di sorveglianza, tenendo presente lo stato di emergenza in cui attualmente versano gli istituti penitenziari, i quali non sono in grado di garantire le misure di sicurezza che l’emergenza che stiamo vivendo impone, adducendo i motivi di salute, ha ritenuto di dover provvedere con urgenza al differimento dell’esecuzione della pena escludendo un eventuale pericolo di fuga, autorizzandolo ad uscire di casa ogni qual volta ne avrà bisogno per motivi di salute anche dei suoi familiari.


L’avvocato di Bonura, Giovanni Di Benedetto, si è espresso a riguardo definendo le dichiarazioni dell’ex ministro dell’interno “improprie e strumentali che obliterano il caso concreto”. È necessario riportare le esatte parole espresse dall’avvocato a “IlSicilia”: «A fronte di una condanna pari a 18 anni e 8 mesi a Bonura restano da scontare, considerati i maturandi giorni di liberazione anticipata, meno di 9 mesi di carcere. Nel contesto della lunga carcerazione il Bonura ha subito un cancro al colon, è stato operato in urgenza e sottoposto a cicli di chemioterapia; di recente i marker tumorali avevano registrato una allarmante impennata. Se a tutto ciò si aggiunge, come si deve, l’età ed i rischi a cui lo stesso, vieppiù a Milano, era esposto per il Coronavirus risulta palese la sussistenza di tutti i presupposti per la concessione del differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare in ossequio ai noti principi, di sponda anche comunitaria, sull’umanità che deve sottostare ad ogni trattamento carcerario».


Ad aggravare il tutto vi è poi l’inesatto riferimento al decreto “Cura Italia”. Ricostruendo in breve la sequenza dei fatti: quattro giorni dopo la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale lo scorso marzo, la DAP (Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria) ha richiesto ai direttori delle strutture penitenziarie di fornire l’elenco, l’età e lo stato fisico dei vari detenuti. Da qui pare sia partita la vicenda dei mafiosi ai domiciliari. L’articolo 123 intitolato “Disposizioni in materia di detenzione domiciliare” al comma 1 fa esplicito riferimento a quelle condanne per le quali non è prevista la deroga, in altre parole per le quali non possono essere concessi i domiciliari. In particolare al punto a) fa riferimento ai condannati per “taluno dei delitti indicati dall’art. 4-bis della legge penitenziaria n. 354 del 1975 e al punto c) (da cui deriverebbe la polemica dei mafiosi ai domiciliari) ai detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell’art. 14-bis della legge penitenziaria n. 354 del 1975, salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall’art. 14-ter della stessa legge.




Il riferimento al decreto “Cura Italia” non atterrebbe in alcun modo al caso Bonura, come ha ribadito non solo il ministro Bonafede ma anche lo stesso avvocato Giovanni Di Benedetto a “IlSicilia”. Il decreto, infatti, non solo non si applica al caso in esame ma, al contempo, non avrebbe niente a che fare con il differimento della pena disposto per comprovate ragioni di salute in base alla previgente normativa. Con queste argomentazioni, la fake news originale è stata smentita pubblicamente.


Da tutta questa vicenda e dal modo in cui è stata gestita dovremmo trarre insegnamento per capire che ogni caso è a sé dal momento che possiede delle peculiarità proprie che vanno affrontate di volta in volta nelle sedi opportune e senza scadere in generalizzazioni che risultano pericolose in quanto distorsive della realtà.








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