Autore: #noicaffemichelangiolo
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Per i frequentatori di musei e mostre di arte contemporanea non suonerà certamente nuova l'affermazione “questo lo avrei potuto fare anch'io!”. Succede spesso di domandarsi davanti all'orinatoio di Marcel Duchamp o alla famigerata banana di Maurizio Cattelan, in cosa consista l'abilità dell'artista. Tutti conoscono la serie di tagli di Lucio Fontana ma forse non tutti sanno cosa si celi dietro a un'azione che sembra a prima vista elementare.
Ad una mano estremamente ferma e precisa, si accompagna il rinforzare la parte anteriore della tela con dei pezzi di garza, così che il taglio risulti una ferita netta e definita, priva di slabbrature o rigonfiamenti. Dietro alla tela un supporto dipinto di nero lascia intravedere un altro spazio ipotetico, al di là del taglio.
A questo punto subentra anche la componente concettuale: oltre ad essere un'azione simbolica di cesura con lo spazio tradizionale della pittura (la tela), il taglio è anche una riflessione sull'apertura verso dimensioni che superino la realtà contingente. Sono infatti gli anni in cui la scienza stava scoprendo l'unione dello spazio-tempo e la meccanica quantistica ipotizzava il multiverso, ovvero la probabile esistenza di altre dimensioni e universi. Queste nuove scoperte scientifiche sono state studiate ed accolte da Fontana tanto da portarlo a fondare un movimento artistico, che prende appunto il nome di “spazialismo”, di cui, dunque, i tagli sulla tela rappresentano il linguaggio espressivo più frequente e noto. Secondo voi, i tagli di Fontana avrebbero potuto farli (e pensarli) tutti?