Ogni maledetta domenica é il titolo di un celebre film con protagonista Al Pacino e Jamie Foxx. Ogni maledetta domenica é quello che probabilmente pensa ogni arbitro al termine di una partita. Mi piacerebbe credere che tale pensiero sia circoscritto alle partite di Serie A, ma la realtà è che purtroppo si estende a quasi tutte le categorie. Agli italiani piace lamentarsi, soprattutto quando si tratta di sport, meglio ancora se di calcio. C’é in particolare una morbosità che ci porta ad individuare nei direttori di gara i capri espiatori per le disfatte della nostra squadra del cuore. Si tratta probabilmente di un meccanismo psicologico neanche troppo complicato da intuire. Noi tifosi proiettiamo le nostre emozioni su quel gruppo di undici atleti che ogni domenica lotta per portare a casa i tre punti, e in queste circostanze é comprensibile che l’ago possa pendere da entrambi i lati della bilancia. Goia e frustrazione. Conseguenza della prima é una visione generalmente positiva della realtà, in cui alle poche critiche si contrappone un generale entusiasmo. Il problema é che quando si tratta di frustrazione l’abitudine e quella di individuare un capro espiatorio contro cui puntare il dito. D’altra parte quanto é semplice condensare il problema intorno ad una sola figura?
Di Chi È La Colpa?
La morbosità di cui sopra quasi sicuramente affonda le proprie radici nello scandalo di calciopoli del 2006 e ha trovato terreno fertile nel processo di innovazione tecnologica degli ultimi anni, che ha visto il VAR sempre più protagonista. È curioso come un accessorio che dovrebbe, in linea teorica, aiutare la terna arbitrale a salvaguardare l’integrità del gioco ne stia al contrario minando le fondamenta. Nelle ultime stagioni dopo l’introduzione del VAR in Italia, il numero di calci di rigori assegnati é aumentato, toccando l’apice nella stagione 2019-20. Come si può notare da questo studio statistico, la media rispetto a dieci anni prima (2009-2010) é abbondantemente sopra 1.0 e, se e vero che nelle prime due stagioni il numero di rigori concessi era andato diminuendo, le ultime tre (inclusa quella attuale) hanno visto un balzo notevole nel numero di episodi segnalati. Sembra quasi che ad un iniziale periodo di transizione e adattamento, anche e soprattutto da parte degli allenatori, sia seguita la realizzazione che la tecnologia non é in grado di fugare del tutto i dubbi.
La colpa é dunque davvero dell’arbitro? Forse si dovrebbe guardare un po' più in là. Nelle ultime due stagioni i criteri in base a cui giudicare i falli di mano in area di rigore ad esempio sono cambiati quasi ogni anno. Una base traballante su cui impostare le fondamenta non può certamente sostenere una struttura solida. Io vorrei spezzare una lancia in favore degli arbitri, i quali sono innanzitutto esseri umani e quindi imperfetti per natura. Checché se ne dica tutti noi compiamo errori, e questo a mio parere é un buono spunto da cui bisognerebbe partire. Sbaglia l’arbitro ma sbaglia anche il tifoso nel momento in cui lo vuole crocefiggere. Sbaglia soprattutto il genitore che alla partita del figlio ancora adolescente sfoga la propria rabbia sul direttore di gara, che magari é un ragazzetto appena maggiorenne (non indico nemmeno una fonte specifica perché ce ne sono troppe su Google). Sbaglia quel gruppo di persone che ha aspettato un arbitro nel parcheggio dopo la partita, minacciandolo con una pistola (questa storia invece ha talmente dell’assurdo che merita di essere citata). Uno che quel mestiere probabilmente lo fa solo nel weekend per arrotondare, che deve già sopportare le fatiche della vita di tutti i giorni e la domenica vorrebbe solo divertirsi seguendo la sua passione.
Non lamentiamoci poi se la qualità degli arbitri attuali é cosi “scadente”. Nessuno vuole più fare l’arbitro. E come dargli/le torto. Dopotutto perché qualcuno, che con ogni probabilità ha un altro lavoro e il proprio bagaglio di frustrazioni, dovrebbe scendere in campo la domenica mattina e ricevere insulti per novanta minuti? Il tutto per pochi spicci?
Siamo Tutti Ipocriti
Chiacchierando con un amico si rifletteva tra il serio e il faceto su come, in fondo, siamo tutti un po' ipocriti. Da appassionato di NBA ho odiato Lebron James quando nell’estate del 2010 lasciò Cleveland per portare il proprio talento a Miami, soprattutto per il circo mediatico messo in piedi per annunciare la sua “Decision”. L’ho detestato e ho goduto della sua sconfitta alle Finals del 2011 contro gli sfavoriti Mavericks. Eppure dalla stagione successiva vidi un personaggio diverso che sembrava aver fatto lezione del proprio fallimento e dei propri errori e cosi cambiò anche la mia opinione. Cambiò a tal punto che mi ritrovai a tifare per lui quando nel 2013 vinse il secondo titolo contro San Antonio in una delle serie più emozionanti degli ultimi anni. Fui felice anche quando ritornò a Cleveland riuscendo a porre fine a quella tragedia sportiva che aleggiava sulla citta da una cinquantina di anni. Sono stato un ipocrita? Prendendo alla lettera il termine probabilmente sì. Altro esempio, da ragazzino sono cresciuto guardando e tifando Milan. Sarebbe potuto essere altrimenti con la squadra zeppa di campioni che il Diavolo si ritrovava? Eppure negli anni gradualmente ho perso interesse nella squadra, complice anche un difficile periodo di transizione nell’era post Berlusconi e una serie di risultati e prestazioni a dir poco imbarazzanti. Gradualmente mi sono interessato sempre più alla squadra della mia città, che é una provinciale e di successi nella propria storia ne ha raccolti ben pochi. Dovrei probabilmente esser tacciato di ipocrisia anche in questo caso, soprattutto ora che la squadra provinciale incomincia a raccogliere qualche successo importante (non preoccupatevi so già a cosa state pensando).
Abituarsi a Cambiare
La realtà però forse é più complessa. Come essere umano sono cambiato, sono cresciuto e nel corso degli anni ho imparato tanto. Spesso sono partito da un punto A con delle convinzioni e sono arrivato ad un punto B con convinzioni del tutto diverse. Molto di ciò che ho appreso mi é rimasto e costituisce delle fondamenta importanti del mio modo di ragionare e di essere. In altri termini, sono le fondamenta della mia persona. Ragionare e cambiare opinioni é ciò che rende noi umani degli esseri cosi speciali. Imperfetti sì, ma capaci di evolversi e di migliorare. Allora forse dovremmo iniziare a fare uso di queste facoltà per cambiare il nostro atteggiamento e il nostro modo di vedere l’arbitro come una minaccia. L’abitudine é una brutta bestia. Forse creare un ambiente meno
tossico in cui vivere l’esperienza della partita potrebbe essere di beneficio per tutti, pubblico, arbitri, allenatori e giocatori. E non preoccupiamoci troppo di partire dall’alto, perché le vere radici del cambiamento si possono e devono porre dal basso, dalle categorie inferiori oltre le quali la maggior parte dei protagonisti non riuscirà a fare il salto, e proprio per questo lo sport dovrebbe essere innanzitutto divertimento.
Se si auspica un cambiamento allora é bene che tutti si mettano in gioco. Da un lato le federazioni, creando le condizioni giuste perché un arbitro possa intraprendere il giusto percorso di crescita professionale. Dall’altro noi tifosi, lasciando da parte le nostre frustrazioni. Lo sport é innanzitutto un gioco e come tale dovrebbe essere vissuto.
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