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Sono tornate le brigate rosse?

L'ombra di un movimento che sembrava tramontato
L'ombra di un movimento che sembrava tramontato

Nelle ultime settimane, distratti dalle mille notizie che questo drammatico 2020 ci sta riservando, come l’annuncio di un nuovo vaccino e il cambio di colore di qualche regione, una notizia è passata totalmente sottotraccia: SONO TORNATE LE BRIGATE ROSSE.


La notizia ha un misto tra il comico-grottesco e il drammatico ed in breve è la seguente: sono state recapitate, a molti sindaci dell’Emilia-Romagna - tra cui Alan Fabbri, sindaco di Ferrara - lettere minatorie a firma delle “Nuove Brigate Rosse” che preannunciavano attentati “per la difesa del proletariato” contro l’infrastruttura borghese e capitalista. Chi si nasconda dietro queste missive e perché qualcuno si diverta a riesumare vecchi scheletri in un periodo così tragico per il paese è qualcosa di cui non posso darvi una risposta. Posso però rinfrescarvi la memoria su chi siano stati gli ultimi eredi delle Brigate Rosse, ovvero gli ultimi “compagni” che hanno compiuto azioni terroristiche firmandosi con la stella a 5 punte e la sigla BR: Le Nuove Brigate Rosse – Combattenti Armati per il Comunismo.


Ufficialmente la storia delle Brigate Rosse si conclude alla fine degli anni ’80, più precisamente tra il 1987 e il 1988, quando avvenne l’ultima azione armata siglata BR-UCC e BR-PCC (le due costole nate dalla scissione delle Brigate Rosse negli anni 80, rispettivamente Brigate Rosse-Unione Comunisti Combattenti frazione minoritaria nata nel 1984 e Brigate Rosse-Per la Costruzione del Partito Comunista Combattente, frazione maggioritaria nata nel 1981) e quando vennero letteralmente smantellate le ultime due cellule operanti a Napoli e a Parigi dalla Polizia. Nel 1987 il nucleo storico, tra cui Renato Curcio e Mario Moretti, detenuti da tempo, dichiarò conclusa la stagione della lotta armata. La dichiarazione formale avvenne finalmente il 23 ottobre 1988 quando un gruppo di irriducibili, tra cui Prospero Gallinari, dichiarò in un documento di sei cartelle e mezzo che “la guerra contro lo Stato era finita” e che “le Brigate rosse coincidono di fatto con i prigionieri politici delle Brigate rosse”, sconfessando chi all'esterno voleva utilizzare la sigla “BR e sciogliendo di fatto l'organizzazione.


Successivamente alla dissoluzione formale delle Brigate Rosse, durante l’inizio degli anni 90 piccole sigle nascono dalle ceneri di quest’ultima, dichiarandosi loro erede: nel 1992 è la volta dei Nuclei Comunisti Combattenti, mentre nel 1993 dei Comitati di Appoggio alla Resistenza Comunista (Carc), poi ci sono gli NTA Nuclei Territoriali Antimperialisti e gli NPR, Nuclei Proletari Rivoluzionari. Queste sigle minori compirono piccole azioni come un pacco bomba lasciato fuori dalla sede di Confindustria e mai esploso, rivendicato dagli NCC nel 1992, oppure gli spari contro il muro della base Nato nel 1994. Ma il clima era cambiato, le ideologie erano morte, gli anni di piombo erano finiti da più di dieci anni e queste azioni sembravano solo un rigurgito o una parodia della notte della repubblica. Alla Digos invece non erano tranquilli, abituati a cogliere anche i più piccoli segnali, avevano due nomi nella agenda: Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce. Il primo, noto sin da giovane alle forze dell’ordine per reati di criminalità comune e per far parte di gruppi giovanili di sinistra extraparlamentare, venne arrestato nel 1997 per una rapina al supermercato alla periferia Romana. La rapina però aveva qualcosa di strano rispetto alle comuni rapine della criminalità da strada e ricordava le “spese proletarie” tipiche degli anni di piombo. In ogni caso, la polizia non ci fece caso e lo condannò a due anni di arresti domiciliari. Un anno dopo, nel febbraio del 1998, Galesi scomparve misteriosamente ed entrò in clandestinità. Per Nadia la storia è diversa e si intrecciano amore e politica. Nasce da una famiglia medio-borghese di Foggia, frequentò il liceo classico e una volta terminato si iscrisse nel 1980 a Pisa, alla facoltà di Lettere e Filosofia.


È a Pisa che conobbe Luigi Fucci, suo futuro compagno per 10 anni e si avvicinò definitivamente alla sinistra extraparlamentare: Nadia e Luigi entrarono in contatto con "Azione Rivoluzionaria", frequentarono il "Circolo culturale polivalente", parteciparono alle lotte studentesche che, nel 1985, interessarono moltissime università italiane con il movimento della Pantera. Poi di Nadia si seppe ben poco fino al 1995 quando il 13 febbraio a Roma, Fucci venne arrestato perché trovato in possesso di armi mentre, secondo gli inquirenti, si preparava a rapinare un ufficio postale. Si dichiarò prigioniero politico e appartenente agli NCC. Due giorni prima, l'11 febbraio, Nadia lasciò la sua Renault 4 in Piazza della Libertà, a Firenze ed affidò il suo gatto alla madre spiegandole che sarebbe restata fuori qualche giorno. Nadia, come Mario, aveva scelto la clandestinità; Nadia, come Mario, aveva scelto la lotta armata.


È il 1999, al governo c’era Massimo D’Alema che guidava una maggioranza di centro sinistra, l’Italia era dentro l’Euro che avrebbe adottato come moneta ufficiale dal 31 dicembre, il Milan si apprestava a vincere un incredibile scudetto dopo una rimonta trionfale e internet esisteva già da 7 anni. Il professor Massimo D’Antona era un giurista che abitava a Roma e insegnava diritto del lavoro all’Università la Sapienza. Oltre a ciò D’Antona era anche consulente del Ministero del Lavoro per il governo: si occupava di una ristrutturazione del mercato del lavoro al fine di renderlo più flessibile sia in entrata (assunzioni) che in uscita (licenziamenti). Il 20 maggio del 1999 alle 8:13 un commando armato lo bloccò fuori da casa sua e sparò tutti e nove i colpi del caricatore, il professore si accasciò. Morì un’ora dopo al Gemelli di Roma. Alle 14.30 alla redazione del Messaggero arrivò una telefonata da un fantasma: “Qui le Brigate Rosse, abbiamo ucciso Massimo D’Antona”. Pochi minuti dopo arrivò anche il volantino di rivendicazione:

«Il giorno 20 maggio 1999, a Roma, le Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Combattente hanno colpito Massimo D'Antona […]. Con questa offensiva le Brigate Rosse per la Costruzione del partito Comunista Combattente, riprendono l'iniziativa combattente, intervenendo nei nodi centrali dello scontro per lo sviluppo della guerra di classe di lunga durata, per la conquista del potere politico e l'instaurazione della dittatura del proletariato […] ».
La lapide del Professor Massimo D'Antona
La lapide del Professor Massimo D'Antona

La rivendicazione dell’omicidio D’Antona indicava come obiettivo il Presidente del Consiglio, responsabile di ricondurre l’opposizione di classe ad un ambito funzionale all’esercizio del Governo, i Democratici di Sinistra (gli avi del attuale PD), che imporrebbero “l’ordine sociale del capitale” rendendo governabili le contraddizioni sociali attraverso la concertazione ed il rilancio “neocorporativo del patto sociale” che comprende Governo, Confindustria, Sindacato ed infine anche i sindacati stessi, promotori di un accordo funzionale ad un originale ruolo dell’Italia nelle politiche “imperialiste”, come l’Unione Europea e la moneta unica. La logica appariva chiara: colpire uomini dello Stato e personalità cardine, legate a un contesto di ristrutturazione del mercato del lavoro. I capi di questa nuova organizzazione erano proprio loro: Nadia e Mario.

Passarono 3 anni ed il 19 marzo 2002, a Bologna, le Nuove BR tornarono a colpire. La vittima fu Marco Biagi. Anche questa volta era un professore e consulente del governo. In questo caso il governo era di centro destra, guidato da Silvio Berlusconi, ed il ministero era quello del welfare. Anche Biagi stava lavorando a una ristrutturazione organica del mercato del lavoro, la cosiddetta Legge Biagi (che verrà poi introdotta post-mortem), che avrebbe portato all’introduzione di nuove forme di contratto a termine e precarie, una riduzione delle cause legali da parte dei dipendenti ai datori di lavoro e la creazione della Borsa continua nazionale del lavoro, ovvero un luogo virtuale di incontro di domanda e offerta di lavoro su scala nazionale. Biagi insegnava a Modena e tutte le sere prendeva il treno regionale delle 19.30 che lo riportava a casa, a Bologna, poco dopo le 20. Quella sera di metà marzo però, il professore non arrivò mai a casa ma fu freddato a pochi passi dal portone di casa sua, ancora in sella alla bicicletta, da un commando di brigatisti. La notte stessa più di 500 e-mail furono inviate a diverse agenzie e quotidiani, nelle quali le Nuove BR rivendicarono l’omicidio di Marco Biagi e dichiararono nel comunicato:

«[…] Con questa azione combattente le Brigate Rosse attaccano la progettualità politica della frazione dominante della borghesia imperialista nostrana per la quale l'accentramento dei poteri nell'Esecutivo, il neocorporativismo, l'alternanza tra coalizioni di governo incentrate sugli interessi della borghesia imperialista e il "federalismo" costituiscono le condizioni per governare la crisi e il conflitto di classe in questa fase storica segnata dalla stagnazione economica e dalla guerra imperialista».
La copertina de "Il Resto del Carlino" che raccontavala morte di Marco Biagi
La copertina de "Il Resto del Carlino" che raccontava la morte di Marco Biagi

Tutt’ora sono molte le zone d’ombra che offuscano la verità su quest’ultimo omicidio, soprattutto riguardanti il motivo per cui Biagi fosse privo di scorta nonostante l’avesse più volte espressamente richiesta a causa delle minacce subite, il modo in cui fu criminalizzato all’epoca dalla CGIL e il volontario abbandono della sua sicurezza da parte dell’allora ministro dell’interno Scajola (che per questo motivo verrà poi indagato). Ma questa è un’altra storia. Torniamo ora a Nadia e Mario. Dopo l’omicidio di Biagi passò un altro anno senza che ci fossero notizie sulle Nuove BR, fino a quando il 2 marzo del 2003 non avvenne una sparatoria sul treno regionale Roma-Firenze, all’altezza di Castiglion Fiorentino. Durante un normale controllo degli agenti della polizia ferroviaria sul treno, Mario e Nadia che viaggiavano sotto falso nome, temendo di essere scoperti, tirarono fuori le pistole e iniziarono a fare fuoco uccidendo il sovrintendente Emanuele Petri. Gli altri agenti della PolFer presenti sul posto risposero al fuoco uccidendo Mario, colpito da due proiettili allo stomaco, e catturarono Nadia. Quest’ultima, a differenza dei compagni degli anni ’70, portava con sé un computer portatile che venne immediatamente sequestrato dalla Digos. Tramite la decodifica del pc, gli investigatori risalirono a diverse informazioni sull'Organizzazione, sui suoi componenti e su una serie di documenti che collegherebbero i due terroristi con gli omicidi D'Antona e Biagi; inoltre vennero poi rinvenute le indicazioni di un covo a Roma, in via Montecuccoli, nel quale vennero rinvenute grosse quantità di esplosivo e documenti delle Nuove Brigate Rosse, tra cui lo scritto di rivendicazione dell'omicidio Biagi. Di lì a poco, tutti i restanti brigatisti vennero catturati. L’anno successivo iniziò il processo: condanna all’ergastolo per Nadia e per tutti gli altri brigatisti impegnati direttamente nell’azione armata, condanna a 12 anni per tutti gli altri fiancheggiatori.


L’esperienza della Nuove BR era finita, il fantasma delle Brigate Rosse poteva tornare a riposare per sempre nell’unico posto dove avrebbe dovuto restare: sui libri di storia.

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