Era il 13 settembre 1985, quando nelle sale giochi nipponiche uscì Super Mario Bros, un gioco capace di frantumare ogni record, come il suo simpatico protagonista.
In realtà, Mario era già comparso sullo schermo qualche anno prima, ma in quel 1985 era tornato per portare la sua stella e quella della Nintendo ancora più in alto. Il buffo idraulico italiano era pronto a riscrivere la storia dell’intrattenimento videoludico, a suon di salti e colpi. Tuttavia, per comprendere questo decisivo capitolo dell’archeologia del videogame dobbiamo fare un ulteriore salto indietro e tornare al 1983, negli Stati Uniti.
Oltreoceano, il mercato dei videogiochi offriva una sterminata gamma di prodotti, la maggior parte dei quali di scarsa qualità. Davanti al ciarpame che veniva loro propinato, gli appassionati risposero con un esodo di massa, abbandonando il mondo dei videogiochi e causando il crollo di molti produttori di console. Nel frattempo, le aziende rimaste dovevano guardarsi le spalle dall’ascesa incontrastata dei personal computer, che in quegli anni iniziarono a spopolare grazie a prezzi concorrenziali e a nuove funzioni che permettevano di impiegarli per giocare con videogames qualitativamente superiori, oltre che per svolgere mansioni utili alla vita quotidiana.
Molti produttori di computer attaccarono al fianco le debolezze mostrate dal mercato delle console, puntando sulla maggior completezza dei loro prodotti:
“Perché comprare una console a tuo figlio distraendolo dalla scuola, quando potresti comprare un computer che lo preparerà al college?”
Così recitava una pubblicità della Commodore. A complicare ancor più uno scenario non certo roseo per le case videoludiche, i produttori di computer ingaggiarono nei loro confronti una spietata guerra dei prezzi, abbassando spaventosamente il valore dei loro prodotti. Molte aziende di console risposero con mosse suicide, come Atari che aveva talmente scommesso sul successo del suo E.T., il videogioco basato sul celebre extraterrestre, da aver preparato cinque milioni di cartucce, certi che il gioco sarebbe andato a ruba. La fretta riversata sui programmatori, affinché rilasciassero il gioco nel tempo record di sei settimane, si rivelò una cattiva consigliera. Il gioco fu un flop gigantesco ed Atari dovette sbarazzarsi delle cinque milioni di cartucce distruggendole in una discarica del Nuovo Messico.
Il vento, insomma, era cambiato e già c’era chi preparava il funerale alle care vecchie console. Il sole tramontava sull’impero videoludico statunitense, costringendo molte aziende a dichiarare il game over. Dal Giappone intanto, nel 1985, un simpatico ometto, in tuta rossa e coi baffoni era pronto a scrivere una nuova era: quella della Nintendo.
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