Negli anni Cinquanta, il governo egiziano decide di costruire la Grande diga di Assuan e di creare un enorme lago artificiale: i monumenti della regione storica della Nubia sembrano condannati a scomparire, inghiottiti dalle acque.
L’UNESCO lancia l’appello “Abu Simbel: Now or Never” e 113 nazioni scelgono di collaborare per salvare i colossali templi di Abu Simbel, scavati nella roccia lungo le rive del Nilo.
In una corsa contro il tempo, 2000 persone tra ingegneri, tecnici e operai lavorano per 40 milioni di ore e portano a termine con immenso successo una delle più grandi imprese ingegneristiche della storia.
I templi furono tagliati in 1070 blocchi: al loro interno venne collocata un’armatura di acciaio per evitare frane, mentre le facciate furono ricoperte di sabbia, per ripararle dai danni.
Questa fase fu affidata a marmisti provenienti dall’Italia. Per lavorare con estrema precisione e non superare mai uno spessore di 8 millimetri nel taglio, utilizzarono esclusivamente la sega a mano.
Una volta tagliati, i blocchi vennero etichettati, smontati e infine ricostruiti su di una collina realizzata appositamente, 65 metri più in alto.
L’allora direttore del Servizio egiziano dei monumenti nubiani dichiarò: “Era stato salvato il gioiello dei tesori della Nubia, il monumento più grandioso mai scolpito nella roccia, esaudendo in questo modo il sogno del faraone Ramses di rendere il suo tempio immortale.”.
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