Ljudmila Michajlovna Pavličenko nasce nel 1916 non lontano da Kiev. Sin da bambina, coltiva due grandi passioni: lo studio e l’attività atletica, quest’ultima frutto del suo carattere indomito e coraggioso. A 14 anni, con la famiglia, abbandona la provincia per la grande città, trasferendosi a Kiev. Qui, mentre lavora come operaia, scopre una passione che le cambierà la vita: inizia infatti a frequentare un club di tiro a segno, dove mette in mostra una mira e una freddezza micidiali. Nel corso degli anni Ljudmila continua a perfezionare l’arte del tiro, ma la sua vera ambizione rimane un’altra: diventare un’insegnante, tanto che nel 1937 si iscrive alla facoltà di storia dell’Università di Kiev.
La vita sembra andare nella direzione giusta, ma presto i suoi sogni di giovane studente dovranno fare i conti con la storia: è il 1941 la Germania di Hitler strappa i trattati e dichiara guerra all’URSS, dando il via alla celebre Operazione Barbarossa. Ljudmila, cresciuta in una famiglia fedele al regime comunista, non può restare a guardare. Armata del suo coraggio e della sua grande esperienza nel tiro di precisione imbraccia le armi e si arruola come volontaria nell’esercito dell’Armata Rossa. Prima dei tedeschi, Ljudmila deve vincere lo scetticismo dei suoi commilitoni che ritengono una donna inadatta al ruolo di soldato. Ma la ragazza è una tipa tosta: davanti alle sue continue insistenze, i compagni la mettono alla prova. La conducono sulla cima di una collina e le dicono di colpire due soldati rumeni, alleati dei tedeschi. Senza battere ciglio, Ljudmila abbatte i due uomini, guadagnandosi così l’ingresso nella 25esima Divisioni Fucilieri dell’Armata Rossa, a cui è affidato l’arduo compito di difendere Odessa, sulle sponde del Mar Nero.
L’esercito nazista marcia rapidamente e nell’agosto 1941 è alle porte della città. Ljudmila sta per ricevere il suo battesimo del fuoco. La ragazza non si lascia intimorire e con la sua mira miete 187 vite in poco più di due mesi. Nonostante la strenua resistenza, nell’ottobre del 1941 l’esercito sovietico è costretto alla ritirata: Ljudmila e il suo reparto ripiegano a Sebastopoli, in Crimea, pronti a difendere la città da un nuovo assalto tedesco.
Qui, le viene affidata una missione estremamente pericolosa: contrastare i temibili cecchini tedeschi. Si tratta di un incarico massacrante, una caccia all’uomo che non ammette errori, tra le macerie, a temperature proibitive, rimanendo immobili per ore in attesa di stanare l’avversario. Anche in questo compito la ragazza si rivela infallibile: le sue pallottole eliminano 36 cecchini nemici.
Per i tedeschi, Ljudmila è una maledizione, un tetro fantasma che invisibile e silenzioso semina la morte. Pur di sbarazzarsene, i nazisti tentano persino la strada della corruzione: tramite annunci diffusi da altoparlanti le promettono cioccolata e soldi se si fosse consegnata al Terzo Reich, ma la tiratrice, con la sua tempra d’acciaio, resiste alla tentazione.
In questo inferno di bombe, freddo e morte, Ljudmila riesce persino a trovare l’amore. Tra le macerie di un mondo che sta crollando, la ragazza si innamora perdutamente di un cecchino russo. I due non perdono tempo e all’inizio del 1942 si sposano. Neppure due mesi dopo, però, la loro favola è già giunta all’epilogo: l’uomo rimane coinvolto nei bombardamenti tedeschi e muore. La sua morte lascia una voragine nel cuore di Ljudmila, conducendola nel baratro della depressione. Ma la guerra impazza e Ljudmila continua a fare strage di tedeschi; fino a quando un colpo di mortaio non esplode nelle sue vicinanze. La ragazza si accascia al suolo, trafitta al volto da una scheggia. È il giugno del 1942. Per sua fortuna la ferita non è grave e nell’arco di poche settimane può tornare ad imbracciare il fucile. Tuttavia, l’Alto comando dell’esercito sovietico si oppone al suo rientro, costringendola ad abbandonare per sempre il campo di battaglia.
I vertici dell’Armata Rossa sanno che l’eccezionale valore dimostrato sul fronte ha reso Ljudmila un’eroina nazionale, troppo preziosa perché rischi la vita in guerra.
La sua morte avrebbe potuto minare seriamente il morale dell’esercito russo già provato da numerose sconfitte. L’Alto Comando sovietico decide dunque di cucirle addosso un ruolo di spicco nella propaganda, consegnando alla patria un’eroina a cui aggrapparsi in uno dei momenti più bui della propria storia.
Sul finire del 1942, Ljudmila è inviata in missione diplomatica presso la Casa Bianca. Alla presenza del presidente Franklin Delano Roosevelt e della moglie Eleanor, racconta l’inarrestabile avanzata tedesca. Le sue parole sono un gelido monito: se gli Stati Uniti non interverranno in Europa, i nazisti avranno la strada spianata per la conquista del Vecchio Continente. La stampa statunitense accoglie freddamente la ragazza russa: i giornalisti, colti dalla novità di una donna in uniforme, si dimostrano più interessati a sapere quale smalto usi o se sia solita incipriarsi il naso prima di una battaglia. Anche davanti a simili provocazioni, Ljudmila non perde i suoi nervi d’acciaio e continua ad inchiodare gli Stati Uniti alle proprie responsabilità, dimostrando di che pasta è fatta: “Non credete, signori – ammonisce durante una conferenza a Chicago - di esservi nascosti troppo a lungo alle mie spalle?”. Persino davanti alla morte, pare non sentire i morsi della coscienza. Quando Eleanor Roosevelt le chiede quanti uomini avesse ucciso, la ragazza risponde candidamente “Nessun uomo, solo fascisti, 309”.
La Signora Morte, come è stata ribattezzata, si rivela perfetta per il suo ruolo di ambasciatrice. Con la sua testimonianza porta in alto il vessillo dell’Unione Sovietica e dimostra inoltre come nell’URSS anche le donne siano pronte a prende le armi e a difendere la patria. In effetti, Ljudmila non è l’unica donna a comparire tra le fila dell’Armata Rossa: le tiratrici scelte inquadrate nei ranghi sono oltre 2.400.
Una volta terminato il suo tour negli Stati Uniti, rientra in patria, desiderosa di rispolverare il fucile e tornare sul campo di battaglia. Ancora una volta, però, Stalin pone il suo divieto: Ljudmila è ormai essenziale alla propaganda del regime. Fino alla fine del conflitto, la ragazza rimane così nelle retrovie, incaricata di istruire i nuovi cecchini dell’Armata Rossa. Seppur per vie traverse, corona il suo desiderio di diventare insegnante.
Dopo la guerra, Ljudmila torna alla sua vita precedente: si laurea e diventa assistente ricercatore del Quartier Generale della Marina Sovietica a Mosca, per il quale partecipa a numerosi congressi. La storia ci ha consegnato un ritratto estremamente gelido dell’infallibile cecchina dell’Armata Rossa. In realtà, sotto la corazza da ufficiale, si nascondeva una donna tormentata dal dolore. I drammi patiti durante la guerra le provocarono disturbi post-traumatici che tentò di affogare con l’alcol. Ma soprattutto, il suo cuore era dilaniato dalla sofferenza, mai superata, della tragica morte del marito a Sebastopoli. Sopraffatta dal dolore e dalla depressione, la Signora Morte non sfuggì al suo destino. Ljudmila si spense nel 1974. Aveva solo 58 anni.
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