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Apologia della pratica forense: 6 mesi dopo


codice civile
Memorie di una praticante sei mesi dopo

Tutto è cominciato dopo una breve quanto necessaria crisi esistenziale post-laurea nel mezzo di una pandemia, ormai consumata dal tedio opprimente di giornate svuotate di qualsiasi certezza.


Fuori da quel locus amoenus chiamato università – è vero quello che si diceva! – può rivelarsi complicato dirimere la matassa e scovare il filo da cui farsi guidare nei prossimi mesi, anni, verso l’agognata stabilità professionale. In poco tempo, ingarbugliata nel marasma delle possibilità offerte dalla laurea in giurisprudenza e con il dubbio di iniziare un percorso non in grado di appagare il mio primordiale desiderio di felicità, mi sono ritrovata in uno studio legale, vis à vis con una versione del Diritto tangibile, viva, reale, indossando formalmente le vesti di praticante avvocato.


Nell’immaginario collettivo, e prima d’ora anche nel mio, la scelta della pratica forense è riservata agli eletti che sognano da sempre una vita con la toga, che non hanno mai compulsato il ventaglio di alternative e dedicano ogni fatica alla esclusiva costruzione di una fulgida carriera da Principe del Foro. Ma 6 mesi dopo dall’inizio del periodo di praticantato, con lieta sorpresa, ho capito che:


  • La lettura e comprensione degli atti giudiziari di un fascicolo stimola la sete di ricerca e di risposte a domande che nemmeno la più edificante lezione universitaria ha mai suscitato.

  • La sensazione di assoluta inadeguatezza che si prova le prime volte svolgendo le attività assegnate in studio o gli adempimenti di cancelleria, in realtà, è l’occasione per acquisire maggiore cognizione di sé stessi, imparando dagli errori e dall’esperienza.

  • Le vicende personali del cliente da difendere diventano la ragione per dare valore e spessore alla propria presenza in tribunale, seppure in fondo all’aula.

  • A volte c’è bisogno di 3 gradi di giudizio per definire una controversia, pertanto se 18 mesi non saranno bastati a risolvere l’enigma sul proprio futuro, nulla vieta di concedersi una proroga e continuare ad esplorare lo scibile giuridico con occhi e mente arricchiti di nuove abilità.


Praticanti di oggi, avvocati di domani: essere o non essere?




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