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The Beatles e il grande sogno degli anni sessanta


-Viviamo in un mondo in cui ci nascondiamo per fare l'amore, mentre la violenza e l'odio si diffondono alla luce del sole- John Lennon

Gli anni Sessanta possono essere definiti una “stagione ribelle” sotto l’aspetto ideologico, culturale, della moda, della musica e dell’amore libero. Questi sono gli anni del progresso tecnologico, dell’emancipazione femminile e delle lotte razziali. Degli anni favolosi e affascinanti dove i giovani, motori del cambiamento, sono riusciti a scardinare i rapporti di potere tra generazioni, razze e sessi, dimostrando che senza armi ma con la sola forza delle idee si poteva esercitare un’influenza non indifferente.


I Beatles sono stati parte di questa rivoluzione, diventando il gruppo più importante nella storia del pop-rock. La loro storia ha inizi a Liverpool il 6 Luglio 1957 quando John Lennon e Paul McCartney incrociano le loro strade alla festa annuale della parrocchia di St.Peter. In tale occasione l’allora sedicenne Lennon si esibiva con il gruppo di cui era leader, i Quarrymen formato da: John Lowe, Rod Davis, Len Garry, Colin Hanton e Pete Shotton ed altri membri si susseguirono successivamente. Paul invece suonava Long Tall Sally di Little Richard. Fu Ivan Vaughan, ex componente della band e compagno di scuola di John a presentare i due che rimasero colpiti reciprocamente a tal punto che McCartney entrò a far parte dei Quarrymen. Un anno dopo, si aggiunse al gruppo un compagno di Paul: George Harrison che, dopo due audizioni, una di cui in un autobus, riuscì a convincere Lennon sino ad allora titubante per la giovane età del nuovo membro, allora quattordicenne.



I Quarrymen

I Quarryman al tempo si limitavano ad eseguire musica skiffle, un ibrido di folk statunitense, blues, hillbilly e con qualche punta di rock and roll. Fu durante il loro soggiorno ad Amburgo che il loro look fu notevolmente trasformato. Con i capelli pettinati con la frangetta, le giacche di pelle e i famosi “Beatles’ boots” contribuirono a dettare i canoni di una moda che entrò presto nella storia. Inoltre ad Amburgo, la loro musica acquistò potenza e consapevolezza. Costretti poi a tornare a Liverpool, il gruppo subì delle modifiche: Stuart Sutcliff decise di abbandonare la musica e Paul McCartney lo sostituì al basso. Cominciarono poi, a suonare in un locale in Mathew Street: il Cavern Club ed entrarono in contatto con il loro futuro manager: Brian Epstein. Fu lui, ad organizzarli un provino alla casa discografica “Decca”, ma il loro potenziale non venne intuito e fu così commesso “uno degli errori più grandi della storia del mercato discografico”. Dopo questo insuccesso, Brian Epstein non si arrese e rivolgendosi alla casa discografica EMI riuscì a far scritturare il gruppo, dovendo però sostituire il batterista Pete Best con Ringo Starr. Nacquero ufficialmente i Beatles, chiamati così in onore di un suggerimento dell’ex componente Stuart Sutcliff.

The Beatles in Abbey Road

È il 5 ottobre 1962 quando esce Love me do, primo successo internazionale del gruppo e che li condusse all’apice della popolarità nel 1963 dando vita a una vera e propria beatlemania. Il 7 Novembre 1966 avvenne un incontro fatale tra il famoso chitarrista dei Beatles John Lennon e l’artista giapponese Yoko Ono all’Indica Gallery dove l’artista avrebbe inaugurato la sua mostra Unfinished Paintings. Fra i due nacque un’alchimia istantanea tanto che John Lennon affermò «Nel momento in cui incontrai lei, la vecchia band era finita. All’epoca non me n’ero accorto, però stava succedendo proprio quello».

-Un sogno che fai da solo rimane solo un sogno. Un sogno fatto insieme agli altri diventa realtà- John Lennon

Il 15 maggio 1968, i Beatles annunciano a New York la formazione di una loro casa discografica: la Apple Records con l’obiettivo di abbandonare la EMI. Nel frattempo, il rapporto tra John Lennon e Yoko Ono cresce sempre di più, i due sono praticamente inseparabili, iniziando persino a lavorare insieme sia sotto il profilo artistico che musicale.

Bed-In

I Beatles comunque continuano a registrare album e film come il cartone animato Yellow Submarine.



Ma il 30 gennaio 1968 le tensioni cominciano ad emergere dopo che i Beatles persero una quantità considerevole di denaro con la chiusura della prestigiosa boutique Apple aperta dal gruppo a Londra. Alla musica rimaneva ben poco dopo la pubblicazione il 30 Giugno 1968 del singolo Hey Jude, la canzone più venduta negli Stati Uniti.

I Beatles ben presto si trasformarono in un gruppo spossato e dilaniato da molti contrasti interni. Era Paul McCartney a cercare disperatamente di tenere in piedi questa baracca pericolante. Egli, così, propose di dare un po’ di quotidianità al gruppo non con una tournée ma con un concerto dal vivo. Così il 30 gennaio 1969 i Fab Four, sul tetto della Apple Records al numero 3 di Savile Row, per quarantadue minuti di concerto, dimenticarono tutto il rancore per suonare nuovamente insieme un’ultima volta sulle note di Don’t let me Down.



Quel giorno rivedere i Beatles di nuovo sul palco insieme fu solo un’utopia, un sogno per i fan, durato troppo poco. Il 10 aprile 1970, un anno dopo quel concerto e un mese prima dell’uscita del loro ultimo album Let it be, Paul McCartney annunciava l’uscita dal gruppo e, di conseguenza, l’ufficiale fine dei Beatles.

“Paul is quitting the Beatles” annunciava il Daily Mirror.


Iniziavano così le carriere da solisti con i singoli: McCartney, A sentimental journey di Ringo Starr, All things must pass di George Harrison e Plastic Ono Band di John Lennon.


Precisamente 10 anni dopo lo scioglimento del gruppo, l’8 Dicembre 1980, John Lennon si trovava con Yoko Ono nel loro appartamento del Dakota Building a New York. Quella mattina si svegliò poco dopo le sette per incontrare la fotografa Annie Liebovitz per lo shooting fotografico per la rivista Rolling Stone. « John venne ad aprirmi indossando una giacca di pelle nera. Aveva i capelli pettinati all’indietro. Rimasi molto colpita perché aveva il suo vecchio look alla Beatles» disse la fotografa.

I due coniugi vennero immortalati sul pavimento color crema del loro salotto, quella polaroid come esclamò Lennon catturava tutta l’essenza della loro relazione. L’ immagine sarebbe finita sulla copertina del Rolling Stone Magazine il 22 gennaio 1981.

Copertina del Rolling Stone Magazine

Dopo lo scatto della foto John Lennon uscì dall’appartamento per firmare alcuni autografi tra cui quello del 25enne Mark David Chapman, ex guardia giurata e a cui Lennon strinse la mano, ignaro che si sarebbe trattato del suo assassino. Questa scena fu immortalata dal fotografo Paul Goresh.


Lennon e il suo assassino

Lennon poi salì con la compagna su una limousine nera diretto agli studi di registrazione. Chapman attese sotto al Dakota Building per altre ore sino al ritorno dei due alle 22.52. Vedendo poi rientrare Lennon insieme alla moglie, Chapman lo chiamò «Ehi, Mr. Lennon!» per poi sparargli cinque colpi di pistola con un calibro 38. Lennon ebbe appena la forza di fare qualche passo mormorando «I was shot» prima di cadere al suolo privo di sensi. Mentre Yoko Ono urlava alla vista del marito a terra, Chapman tirò fuori dalla tasca della sua giacca una copia del Giovane Holden e si mise a leggere a pochi metri da lì.

Il custode del Dakota Building, Mr.Perdomo, gridò a Chapman: «Lo sai cosa hai fatto?», al che Chapman rispose con una freddezza inquietante: «Sì, ho appena sparato a John Lennon». L’iconico membro dei Beatles fu trasportato d’urgenza al Roosvelt Hospital dove morì pochi minuti dopo alle 23.15. Quel giorno calò il buio su New York.


I due coniugi di fronte al Dakota Building

Chapman fu poi arrestato e non oppose resistenza, queste le sue parole:

«Mi sembrava sbagliato che l’artefice di tutte quelle canzoni di pace, amore e fratellanza potesse essere tanto ricco. La cosa che mi faceva imbestialire di più era che lui avesse sfondato, mentre io no. Eravamo come due treni che correvano l’uno contro l’altro sullo stesso binario. Il suo “tutto” e il mio “nulla” hanno finito per scontrarsi frontalmente. Nella cieca rabbia e depressione di allora, quella era l’unica via d’uscita. L’unico modo per vedere la luce alla fine del tunnel era ucciderlo».

«Ascoltavo quella musica e diventavo sempre più furioso verso di lui, perché diceva che non credeva in Dio... e che non credeva nei Beatles. Questa era un’altra cosa che mi mandava in bestia, anche se il disco risaliva a dieci anni prima. Volevo proprio urlargli in faccia chi diavolo si credesse di essere, dicendo quelle cose su Dio, sul paradiso e sui Beatles! Dire che non crede in Gesù e cose del genere. A quel punto la mia mente fu accecata totalmente dalla rabbia».



Mark David Chapman

Nel settembre 2020, a 40 anni dall’omicidio, gli è stata negata la libertà condizionata per l’undicesima volta ed ha chiesto scusa alla vedova Yoko Ono, definendo il suo atto come spregevole.


Nel 1985 a Central Park, proprio nei pressi del Dakota Building, fu inaugurato lo Strawberry Fields Memorial, un “giardino della pace” che ancora oggi unisce appassionati dei Beatles e di Lennon e che in sua memoria lasciano fiori sul mosaico IMAGINE. Questo luogo in commemorazione anche della famosa canzone evoca la speranza di un mondo senza conflitti, guerre e odio.

«Immagina tutte le persone che vivono la vita in pace...».


The Strawberry Fields Memorial

«…You may say I'm a dreamer But I'm not the only one I hope someday you'll join us And the world will be as one».


A quarantuno anni di distanza dal suo assassinio John Lennon è ancora tra noi come altri grandi miti che hanno fatto la storia.

Come ricorda Michele nel suo articolo «è una presenza che sarà con noi per sempre, o almeno fino a quando continueremo a cantarlo, ascoltarlo, citarlo e celebrarlo. John Lennon non è solo un cantante. John Lennon è un’idea, che vive concretamente nel nostro immaginario collettivo».

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